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Storia della Musica Afro-americana. Le voci

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Le Voci 

Nella musica afroamericana troviamo la presenza delle voci praticamente durante tutto l’arco della sua storia, fatta eccezione per alcuni generi tipicamente strumentali. Gli stili vocali hanno ovviamente risentito dell’evoluzione del linguaggio, ma i cantanti hanno mantenuto sempre una loro individualità ben definita, che spesso ne rende difficile una collocazione precisa.

Bessie Smith

Ovviamente i generi musicali prevalentemente vocali, come i diversi tipi di canto spirituale e il Blues, vedevano la presenza di numerosi cantori, che però non sempre avevano caratteristiche “solistiche”. Una delle prime grandi soliste di Blues fu sicuramente Bessie Smith (1894–1937). Dotata di un timbro potente ed elegante era anche ballerina, attrice comica e mima, e ha influenzato le generazioni successive di cantanti. Morì per le conseguenze di un incidente stradale, e secondo alcune testimonianze i soccorsi furono tardivi, in quanto pare che alcuni ospedali nei quali fu portata dall’ambulanza avessero rifiutato di accoglierla per motivi razziali. Un altro grande nome dello stesso periodo è quello di Ma Rainey (Melissa Nix Pridgett, 1886-1939). Da ricordare anche Jimmy Rushing (1901–1972) e Big Joe Turner (1911–1985).

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Uscendo dall’ambito del Blues tradizionale un altro nome da annoverare tra i grandi cantanti è quello di Louis Armstrong (1901–1971), portatore di uno stile personalissimo e inimitabile (anche se spesso, goffamente, imitato). Inoltre, il nome di Armstrong è legato all’origine del canto scat, in quanto, secondo un leggendario racconto, sembra che, durante una registrazione, nel 1926, del brano Heebie Jeebies, lo spartito gli sia caduto dal leggìo. Egli allora avrebbe cominciato a improvvisare utilizzando fonemi senza senso compiuto che imitavano il suono di uno strumento a fiato[1]. Questa tecnica divenne in seguito di uso larghissimo nella pratica improvvisativa vocale.

Josephine-Baker

Un personaggio molto particolare è quello rappresentato da Joséphine Baker (Freda Joséphine Baker McDonald, 1906-1975), nata a St. Louis ma naturalizzata francese, cantante e ballerina molto attiva anche nelle rivendicazioni dei diritti dei neri. Era solita esibirsi seminuda, spesso vestita solo di un gonnellino di banane. Durante la Seconda Guerra Mondiale sembra che fosse divenuta agente del controspionaggio, e, alla fine della guerra, si impegnò a favore della Croce Rossa. Fu decorata da Charles De Gaulle con la Legion d’Onore.

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Figura di enorme spessore, difficilmente classificabile e, anche lei, spesso infelicemente imitata, è stata quella di Bille Holiday (Eleanora Fagan o Elinore Harris, 1915-1959, detta anche Lady Day)[2].

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La sua vita fu travagliata e drammatica, cosa che emerge in maniera evidente nel suo stile vocale intenso e particolarissimo. Riuscì a collaborare con musicisti appartenenti a diversi stili, mantenendo sempre la sua personalità inconfondibile, e rendendo emozionanti ed espressivi anche brani dal testo e dalla melodia banali.

billie-holiday

Il Be-bop, stile prettamente strumentale, espresse tuttavia alcune interessanti figure di cantanti; innanzitutto una delle personalità musicali tra quelle che promossero il nuovo genere era proprio un cantante: cioè Billie Eckstine (1914-1993). Egli assunse nella sua orchestra alcuni tra i più importanti solisti Be-bop, tra cui Charlie Parker. Da ricordare John Birks “Dizzy” Gillespie (1917-1993), grande trombettista, ma anche notevole esponente del canto scat.

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Altra importantissima voce di questo periodo è quella di Sarah Lois Vaughan (1924-1990). Dotata di una profonda voce di contralto, fu una delle grandi interpreti del repertorio della grande canzone americana rivisitata in ambito jazz.[3]   Sarah-Vaughan

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Anche se non inquadrabile nel Be-bop, è da ricordare, come interprete del canto scat, il cantante e direttore d’orchestra Cab Calloway (Cabell Calloway III, 1907-1994)

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Ma veniamo ora a quella che, forse, può essere considerata, se non la più grande, una delle più grandi cantanti di jazz: Ella Jane Fitzgerald (1917-1996). Padrona di una tecnica vocale praticamente perfetta, dotata di un’enorme estensione e capace di improvvisare in stile scat in maniera stupefacente e alla pari con uno strumento musicale, la Fitzgerald collaborò con musicisti e orchestre di vari generi, adattandosi sempre perfettamente a tutti gli stili, ma mantenendo sempre la sua fortissima personalità.

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Di grande rilievo le sue incisioni con l’orchestra di Duke Ellington e in duetto con Louis Armstrong. In queste ultime, in particolare, il contrasto tra la vocalità istintiva e viscerale di Armstrong e la pulizia e perfezione della Fitzgerald genera un particolarissimo connubio, ricco di fascino, eleganza e stile.

Ella-Louis

Ma nel canto jazz, spesso la perfezione tecnica non è una caratteristica essenziale: a volte sono più importanti il “feeling” e il linguaggio: è il caso, per esempio di Chet Baker (1929-1988), trombettista ma anche cantante di grande valore.

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Non si può certo dire che egli fosse in possesso di una voce potente e perfetta; ma la bellezza delle sue improvvisazioni e il suo stile elegantissimo superano di gran lunga la flebilità del suo timbro vocale e le “pecche” tecniche.  Chet Baker

In epoca più recente, da notare è la vocalità, in bilico tra il latin, il pop, la fusion e il jazz di Al (Alwin Lopez) Jarreau (1940). Grande improvvisatore, ha uno stile originale e inconfondibile, ed è anche autore e compositore di notevole livello.

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Ricordiamo anche Mark Murphy (1932) e Ben Sidran (1943) entrambi, oltre che cantanti, anche pianisti.

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Pur non appartenendo strettamente al Jazz, possiamo però annoverare anche nomi come quelli di Frank (Francis Albert) Sinatra (1915-1998) e Tony Bennett (Anthony Dominick Benedetto, 1926), che spesso hanno cantato in contesti stlisticamente molto affini al Jazz.

Altri nomi di rilievo sono quelli di: Anita O’Day (1919-2006), Carmen McRae (1920-1994), Sheila Jordan (1928), Nina Simone (1933-2003), Bobby McFerrin (1950), Dee Dee Bridgewater (1950) e Diana Krall (1964).

Al di fuori degli Stati Uniti, oltre ai nomi provenienti dal Sud-America, citati nel capitolo sugli anni ’60, da ricordare, in Europa, la polacca Urszula Dudziak (1943) e le italiane Tiziana Ghiglioni (1956) e Maria Pia De Vito (1960).

Non dimentichiamo, poi, alcuni gruppi vocali di notevole rilievo: in America, i Manhattan transfer, fondati nel 1969 da Tim Hauser (1941), e i Singers unlimited, fondati e diretti nel 1971 da Gene Puerling (1929-2008) e, in Francia, gli Swingle Singers, nati nel 1962 (e, attraverso varie trasformazioni, ancora oggi attivi).

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Gli ultimi due si specializzarono anche nello stile a cappella, quindi senza accompagnamento strumentale. Gli Swingle Singers, in particolare, sono celebri per aver adattato, con grande gusto ed eleganza, in chiave Jazz molta musica del periodo barocco, specialmente quella di J. S. Bach.



[1] [1] Il termine “scat”, nello slang americano, ha il significato di “scamparla”, “salvarsi per il rotto della cuffia”, che è quello che sarebbe successo appunto ad Armstrong durante la registrazione citata con la geniale trovata dell’improvvisazione vocale.

 

[2] I dubbi sui nomi derivano dal fatto che la Holiday era figli di genitori non sposati, cui in alcuni documenti risulta il cognome materno e in altri quello paterno. Il nome “Billie” lo scelse, invece, in omaggio all’attrice Billie Dove.

[3] La Vaughan era molto legata a Eckstine, che l’aveva assunta nella sua orchestra e la sostenne e protesse lungo tutto l’arco della sua carriera. Alla notizia della sua morte, nel 1990, egli subì un primo attacco di cuore, seguìto da quello che gli fu fatale, nel 1993.

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