Home Jazz Storia della musica Afro-americana. Charlie Parker e il Be Bop

Storia della musica Afro-americana. Charlie Parker e il Be Bop

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Documenti musicali illustrano la ricca storia della musica afro-americana, evidenziando solisti e compositori influenti.

Il Be-Bop

Billy Eckstine

Abbiamo visto come, attraverso le grandi orchestre Swing, formate prevalentemente da musicisti bianchi (con alcune eccezioni), l’industria discografica e teatrale avesse tentato, spesso riuscendovi, di far dimenticare la gravissima crisi economica degli anni ’30 e, in seguito, le difficoltà e i disastri causati dalla 2ª Guerra Mondiale. Il linguaggio musicale di queste orchestre era molto “levigato” e soprattutto ballabile, favorendo così lo svago e il puro intrattenimento. Ma all’inizio degli anni ’40 una di queste formazioni, quella cioè diretta dal cantante (nero, per la verità) Billy Eckstine (William Clarence Eckstein, “Mr. B”, Pittsburgh 1914-1993), si distinse dalle altre: al suo interno, per volere del direttore, erano presenti molti dei solisti che, qualche anno dopo, avrebbero rivoluzionato il linguaggio jazz. Erano gli inventori di un nuovo stile musicale, basato su improvvisazioni in tempo molto veloce, con frasi nervose, armonicamente ardite e molto poco “orecchiabili”.

La loro era una reazione alla “commercializzazione” del Jazz che, da musica che nasceva dalle viscere profonde, stava rapidamente diventando un “business” per le grandi case discografiche. Questo nuovo linguaggio prese il nome (di origine onomatopeica) di Be-Bop, e i nuovi solisti si chiamavano Fats Navarro (1923-1950), Dizzy Gillespie (1917-1993), Sarah Vaughan (1924-1990), Miles Davis (1926-1991), Dexter Gordon (1923-1990) e, soprattutto, Charlie Parker (1920-1955).

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La rivoluzione del Be-Bop va al di là dell’aspetto puramente musicale: essa riflette la maturata consapevolezza politica e culturale dei neri d’America, ricollegandosi, da questo punto di vista, alle origini del Blues, con la differenza, però, di rimanere un linguaggio di nicchia, che volutamente escludeva chi non facesse parte del ristretto “club”.

Una delle consuetudini più comuni dei musicisti Be-Bop era quella di utilizzare la struttura armonica di canzoni commerciali per costruirvi sopra linee melodiche complesse e contorte. Questo espediente aveva anche l’obiettivo di eludere il riconoscimento dei diritti d’autore agli editori e agli autori “commerciali”, in quanto la melodia principale, cioè quella che determina la “paternità” di un brano, non veniva mai suonata; inoltre, i giri armonici di tali canzoni costituivano un ottimo supporto per le improvvisazioni, che, adesso, prendevano il sopravvento sulle parti “composte”, lasciando spazio ai solisti di esprimersi liberamente e senza vincoli di “arrangiamento”. Un altro aspetto musicale (che però riflette anche un elemento “sociale”) riguarda i ruoli dei vari strumenti musicali; finora gli strumenti “ritmici”, come pianoforte, contrabbasso e batteria avevano avuto prevalentemente una funzione di supporto, mentre adesso cominciano a “dialogare” maggiormente con gli altri, riflettendo una diversa “democrazia” musicale.

Purtroppo la rivoluzione del Be-Bop è legata anche a degenerazioni sociali di non poco conto; una delle principali è il suo collegamento col mondo degli stupefacenti, favorito anche da molta letteratura pseudo-intellettuale dell’epoca. Si era portati a ritenere che il drogarsi e/o il fare uso massiccio di alcolici desse un impulso alla creatività, col risultato che molti artisti (non solo musicisti) perdessero la vita precocemente e in circostanze spesso tragiche, alimentando un malinteso che avrebbe avuto nefaste conseguenze anche nei decenni successivi.

A quasi settant’anni dal suo manifestarsi, comunque, il fenomeno del Be-Bop può essere valutato in modo meno emotivo e più obiettivo che non in passato. Indubbiamente, esso ha dato una spinta in avanti al jazz che stava rischiando di mimetizzarsi in un linguaggio commerciale e indefinito, e ha influenzato il linguaggio dei decenni successivi; da un altro punto di vista, ha creato delle “nicchie” di estimatori che forse hanno un po’ allontanato il grande pubblico da una musica vitale e creativa.

Charlie Parker

Charlie Parker

Il Be-Bop è abitualmente identificato con una figura quasi leggendaria, quella di Christopher Charles Parker (“Charlie” o “Bird”, Kansas City 1920 – New York 1955). Figlio di un artista di vaudeville che però lo abbandonò ben presto alle cure della madre, esordì da adolescente suonando il Sousaphone e il saxofono nelle bande scolastiche. Il suo talento emerge rapidamente, ed egli è assunto da alcune orchestre in voga dell’epoca, fino ad approdare, nel 1941 a New York con quella di Jay McShann, con la quale si mette in luce con i suoi primi “a solo” al sax contralto, il suo strumento principale. In seguito fu assunto da Billy Eckstine, e nel frattempo cominciò a collaborare con i più importanti musicisti del periodo, in particolare col trombettista Dizzy Gillespie, considerato quasi un suo “alter ego”, e con il quale costituì uno storico quintetto che si esibiva nei Jazz club della 52ª Strada, ricordata proprio per la concentrazione di locali dove il Be-Bop era maggiormente di casa.

Artista dalla vita tormentata, condizionata dalla dipendenza dagli stupefacenti e dall’alcool, che lo porteranno a una morte prematura, Parker può essere senza dubbio considerato uno dei più grandi geni della musica del ‘900: nonostante il suo percorso di studi sostanzialmente da autodidatta, fu un profondo conoscitore e studioso della musica del passato e del presente. Studiò avidamente la musica di Bach e di Mozart come quella dei suoi contemporanei Bartók, Stravinsky, Schönberg e Hindemith. Fu anche, nei momenti di lucidità, un uomo colto e brillante, cosa che contrasta con il luogo comune del jazzista talentuoso ma tutto sommato rozzo, soprattutto se nero. L’impatto che la musica di Parker ebbe sui contemporanei e sulle generazioni successive può essere paragonato solo a quello che, a suo tempo, ebbe quella di L. Armstrong. Le sue vicende personali gli impedirono di dedicarsi con costanza alla composizione, che lo attraeva e lo interessava. Molte delle sue registrazioni storiche sono spezzoni catturati dal vivo, incompleti e frammentati ma carichi di una vitalità e di un’inventiva veramente impressionanti. Nel 1950 effettuò a New York una serie di registrazioni con un’orchestra d’archi, lavoro a cui egli attribuì una grande importanza in quanto gli conferiva una “dignità” superiore a quella del “semplice” jazzista. Queste registrazioni, le uniche che ebbero anche un buon riscontro economico, gli fecero piovere addosso, da parte dei fanatici “puristi”, accuse di commercializzazione, causandogli una grande delusione.

Alla sua morte, dovuta agli abusi di eroina e di alcool, il medico legale che esaminò la salma non riuscì a stabilirne le cause esatte e, non conoscendo i suoi dati personali, stimò l’età a 53 anni, quando in realtà erano solo 35…

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Altre importanti figure del Be-Bop

Bud Powell

Oltre ai già citati John Birks “Dizzy” Gillespie, trombettista e cantante, e Miles Davis, trombettista, dobbiamo ricordare il contrabbassista Oscar Pettiford (1922–1960), il batterista Maxwell Lemuel “Max” Roach (1924–2007) e il grandissimo pianista e compositore Earl “Bud” Powell (1924–1966). Powell fu il primo a trasferire al pianoforte il linguaggio parkeriano, innestandolo però su una solida conoscenza e padronanza della tradizione. Anch’egli, come Parker, seguì degli studi, per quanto disordinati, di tipo classico. La sua precaria salute psichica e mentale, oltre al solito abuso di alcool e di stupefacenti, lo portarono a una morte precoce. Il suo soggiorno a Parigi, dove alla fine degli anni ’50 aveva cercato rifugio, fu invece malinconico e drammatico, ed è efficacemente rappresentato, pur se il suo nome non viene mai fatto esplicitamente, nel film del 1986 di B. Tavernier Round Midnight, magistralmente interpretato dal saxofonista Dexter Gordon e con le musiche scritte dal pianista Herbie Hancock. Uno dei pochi film sul Jazz non agiografici e non mitologici, nel quale le personalità sensibili, complesse e conflittuali dei musicisti di quel periodo vengono realmente scavate a fondo e la creatività e la genialità vengono scisse dal falso mito della droga come elemento conduttore del talento artistico.

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