Qualche giorno fa, Giulio mi ha chiesto: “Perché non scrivi qualcosa sull’Internazionale?” – “L’Internazionale?” ho risposto sorpresa – “Ti riferisci alla canzone comunista (lo posso usare ancora questo termine?) divenuta poi il famoso inno dei lavoratori di tutto il mondo?” – “Si, proprio quella”. Bene, mi sono detta, ma da che parte cominciare? Cominciamo con un po’ di storia.
Siamo nel 1871, in una Parigi percorsa da un grande fermento, quando Eugène Pottier, operaio e poeta rivoluzionario, trova le parole per descrivere il sorprendente percorso intrapreso dai membri della Comune di Parigi, percorso fatto di lotta, ideali, morte, fino alla drammatica sconfitta.
Il testo, messo in musica solo nel 1888 da Pierre Degeyter, ha subito nel tempo varie modifiche ed è per questo che oggi ne esistono innumerevoli versioni. Da segnalare la versione italiana classica, quella che tutt’oggi continua ad essere intonata in chiusura, ahimé, dei sempre più rari raduni di compagni, disillusi e nostalgici del tempo che fu. Infedele al testo originale, la fortunata versione fu pubblicata per la prima volta nel 1901, nelle pagine del giornale satirico L’asino.
Nel 1994, a pochi mesi dalla morte, il grande poeta Franco Fortini ci regala la sua ultima versione dell’inno, interpretata in seguito dal cantastorie Ivan della Mea e contenuta nell’album “Ho male all’orologio” del 1997.
Anche se con toni e sfumature differenti, il fulcro di ogni testo continua ad essere il medesimo: è l’idea dell’unione a resistere, quella che muove materialmente dalle fabbriche e dalle campagne i lavoratori, convinti di poter superare le ingiustizie e quindi le disuguaglianze tra classi, solo annullando le discordie interne.
Rileggere il testo dell’Internazionale oggi implica, nella migliore delle ipotesi, uno scoppio improvviso di ilarità (del resto l’immagine di qualche compagno barbuto, con voce tremante, occhio lucido e pugno sinistro alzato non può non evocare un certo anacronismo nostalgico, ultimo goffo tentativo di dire “Ancora esistiamo”), ma nella peggiore, l’ilarità lascia il passo all’amarezza. Mai come oggi, il mondo del lavoro appare così diviso, frammentato in tante schegge, che sembrano davvero non aver niente da condividere, se non il pagamento a rate del televisore al plasma o le code infinite in autostrada per assaggiare il sole del tanto agognato weekend.
Eh si, sono lontani e anche un po’ buffi quei versi che descrivono con la sana ingenuità dell’utopia, una società diversa, suggellata dall’unione dei lavoratori. Sono lontani quei versi, quando vediamo i morti della Thyssen, i precari nei call center, i raccoglitori di pomodori nei campi della Puglia e ancora le morti bianche nei cantieri abusivi, i ricercatori sottopagati nelle università.
Forse Giulio si aspettava qualcosa di diverso, un articolo che si limitasse alla semplice curiosità storica, ma come vedete, è sempre difficile far finta che il filo diretto che lega musica e società non esista. Un filo che ci può aiutare a comprendere la nostra storia e magari anche quella di chi ci ha preceduti.
A voi lo spartito dell’inno dei lavoratori, L’internazionale: scaricalo qua
Ascoltate la canzone in italiano:
puoi fare bandiera rossa o l’inno dell’unione sovietica?
Giulio è soddisfatto di avere anche Janis come collaboratrice per pianosolo! Una valente quasi-giornalista, che arricchirà di contenuto e di sostanza queste pagine!
Grazie 🙂