
Si tratta dell’ultima sonata di Schubert, in Sib maggiore, da molti considerata una delle più belle. In effetti in questa composizione possiamo percepire tutta la maturità artistica del compositore.

Anche la sonata n.19 (Do minore) e la n.20 (in La minore) scritte contemporaneamente alla 21 nel 1828, ossia nell’anno in cui poi Schubert morirà, sono colme di pathos. Queste tre sonate vengono ciclicamente interconnesse da diversi elementi strutturali, armonici e melodici che legano insieme tutti i movimenti di ogni sonata, nonché tutte e tre le composizioni, tanto da essere spesso considerate come una sorta di trilogia. Inoltre contengono allusioni e analogie con altre composizioni di Schubert (oltre che a richiami a delle sonorità delle sonate di Beethoven), come il suo ciclo di 24 Lieder “Winterreise”
La Sonata n.21 D960 fu pubblicata postuma dall’editore Diabelli soltanto nel 1838. La musica di Schubert in questa sonata è pervasa da uno dei tratti caratterizzanti la sua produzione strumentale: una malinconia mai dichiarata con toni altisonanti, piuttosto timida, dissimulata con pudore, a tratti rischiarata da tenui accenni a una non specificata gioia, a una speranza in fieri. Nel primo movimento il tema iniziale, molto moderato,è quasi subito interrotto da un trillo inquieto del basso, e si apre al secondo tema che è una sorta di danza. Un chiaroscuro emotivo che ci sbalza continuamente da toni drammatici a elementi di euforia, una sorta di speranza, a denotare la natura stessa del compositore, uno stato mai definitivo in cui a trionfare è il romanticismo, anche nei successivi movimenti.
Schubert morirà due mesi dopo aver terminato la composizione di questo capolavoro, una sorta di testamento spirituale e musicale.
Spartito
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