
Pianista, direttore d’orchestra e compositore, Edward Kennedy “Duke” Ellington è uno dei padri della musica americana.
Etichettarlo con l’epiteto di jazz man equivale a sottovalutare il suo rapporto profondo e intenso con la musica, tutta. Lui stesso, del resto, detestava le categorie e nella sua autobiografia (“La musica è la mia signora”, Minimum Fax 2007) parla della musica come della sua donna, qualcosa, qualcuno che gli vive accanto, ma che non ha classificazioni.
Ma chi era Duke Ellington?
Troppo spesso sottovalutato come pianista, in realtà possedeva un’abilità al pianoforte perfettamente adeguata al tono emotivo delle sue composizioni. Lungi dall’immaginarlo come uno dei tanti neri d’America costretti a vivere relegato in un ghetto, Ellington proveniva da una famiglia della media borghesia, e aveva preso lezioni di pianoforte. Aveva doti artistiche innate, soprattutto nel campo della pittura ed era un fedele credente.

Aveva scelto come città, naturale sfondo alla sua attività, New York, e il locale in cui lo si poteva ascoltare era il famoso Cotton Club, ad Harlem, dove imperversava con i suoi primi brani in stile jungle. Il jungle era un genere, in voga negli anni Venti, che si caratterizzava per il tentativo di evocare a livello sonoro la giungla africana attraverso particolari effetti affidati soprattutto ai fiati. In questi anni Ellington crea la sua orchestra, destinata ad esibirsi in tutto il mondo. Ellington ne definisce lo stile, compone brani rimasti nella storia della musica americana, e non solo, anche grazie all’incontro con il compositore Billy Strayhorn.

“Mood Indigo”, “Take the A Train”, “Sophisticated Lady”, sono solo alcuni dei titoli che l’orchestra di Duke Ellington ha portato in giro per il mondo per più di trent’anni, dando prova di una perfetta consonanza tra le intenzioni del compositore e l’esecuzione da parte dei suoi musicisti, un affiatamento che non ha avuto eguali nella storia delle grandi orchestre moderne.

E sono composizioni nuove, concepite, rispetto agli standard dell’epoca, con una forte personalità, a tratti dolenti e inclini al blues, a tratti selvagge ed aspre, a tratti dotate di un sentimentalismo dolcissimo toccante. Poliedricità e versatilità, proprio come nella personalità del loro autore. Persino Stravinskij corse a sentire l’orchestra di Ellington al Cotton Club!
Ma Ellington non si ferma. Negli anni Quaranta, nel periodo in cui si esibisce con l’orchestra alla Carnegie Hall, inizia a comporre le sue lunghissime suite, segno di un’evoluzione che scavalca l’eventuale etichettatura jazz e guarda invece oltre, alla musica sinfonica. Un genere che continuerà a privilegiare anche nei decenni successivi, spesso arricchendo contenutisticamente le opere con riferimenti all’integrazione dei neri nel tessuto sociale americano (vedi ad esempio Black, Brown and Beige), o con agganci alla letteratura (vedi Such Sweet Thunder, ispirata a Shakespeare).
Fiumi di inchiostro sono stati versati su questo musicista straordinario, ma ciò che per lui e di lui parla maggiormente è la sua musica. Ellington, in alcuni versi dedicati alla sua “signora”, la musica, un giorno ebbe a scrivere: “Senza musica mi sentirei cieco, atrofizzato, incompiuto, inesistente.”
In effetti è come dice Lei. Su Ellington ci sarebbe troppo da dire e scrivere e questa non è certo la sede di approfondimento. In realtà mi preoccupo in generale del fatto che sul Jazz oggi ci sia molta confusione e sia essenziale non aumentarla, soprattutto per i neofiti che per lo più vedo allo sbando. Lo studio della grande musica di autori africani-americani come potrebbe aiutare a chiarire e soprattutto ad avere verso questa musica maggior rispetto di quella che in realtà oggi ha, specie da noi. Saluti.
E' vero che l'etichetta jazz potrebbe essere restrittiva per definire la sua musica, ma ciò non significa affatto, come Lei sembra lasciar intendere, che il sinfonismo delle sue suites a largo respiro anelasse a superare il jazz, seguendo i riferimenti propri della musica accademica. In realtà Ellington cercava di imporre un suo sinfonismo e una sua idea di scrittura sinfonica peculiarmente e assolutamente africana americana, molto più "jazz" di quanto non si dica, e che ben poco aveva a che fare con i criteri formali e compositivi di scrittura accademica in tale ambito. Proprio per tale ragione per decenni è stato male interpretato il valore di quelle opere che per lo più sono invece dei capolavori della musica tout court., ma assolutamente propri della cultura musicale africana-americana espressa ai suoi massimi livelli.
Sono d'accordo sul fatto che si dica ben poco di Duke Ellington in questo articolo. Di fatto non basterebbe un post su un blog a sintetizzarne non solo la lunga e densa biografia, ma tantomeno la complessa evoluzione in campo musicale.
Questo articolo voleva essere semplicemente un contributo alla diffusione della conoscenza di questo grande compositore e musicista, a livello basilare, cosa, mi creda, niente affatto scontata al giorno d'oggi. Dunque, non un approfondimento filologicamente accurato, o un saggio (in quel caso avrei allegato una bibliografia), piuttosto uno stimolo in chi legge all'ascolto e alla comprensione di Duke Ellington.
Grazie per il suo intervento, che non solo aggiunge informazioni al mio sintetico contributo, ma rispecchia in pieno l'obiettivo che ogni blog si pone per definizione: una corretta e proficua discussione su temi di interesse comune.
L'articolo dice ben poco di Ellington. Soprattutto non dice che Ellington è stato uno dei musicisti africani americani più impegnati in musica, seppure in modo non contestatario, nel processo di integrazione degli africani-americani nella cultura americana, giammai da posizioni subordinate alla cultura bianca, bensì con l'orgoglio e la consapevolezza, quasi da "nazionalista" africano-americano, della forza innovativa dirompente della propria musica e delle proprie origini africane americane. (continua)
Grazie Giuseppe! 🙂
Bell'articolo, siete grandi ! 😀