
Tra le innumerevoli proposte musicali di questa edizione 2023 di Piano City Milano c’è anche la maratona pianistica che si terrà domenica 21 maggio alla Rotonda della Besana intitolata Rachmaninov’s Story. A partire dalle ore 11 i giovani pianisti dell’Associazione PianoFriends si alterneranno sul palco della Besana per interpretare la produzione pianistica di Sergej Rachmaninov. Le esecuzioni saranno intervallate dagli interventi del Maestro Vincenzo Balzani che narrerà la storia del compositore ripercorrendone le tappe fondamentali. La maratona durerà 6 ore e 30. Il programma completo è disponibile sul sito di Piano City Milano.
Un’occasione per ascoltare la musica di Rachmaninov suonata dai giovani talenti dell’Associazione PianoFriends, da sempre impegnata nella loro valorizzazione grazie alla cura e all’incessante lavoro di Catia Iglesias e Vincenzo Balzani.
Del progetto e molto altro abbiamo parlato con il Maestro Balzani in questa intervista.
Paola Parri: Maestro ci parli di questo progetto che con l’Associazione PianoFriends avete realizzato per Piano City Milano.
Vincenzo Balzani: Anche quest’anno abbiamo attivato una collaborazione con il gruppo di Piano City Milano per questo evento, che si terrà alla Rotonda della Besana e che sarà dedicato alla musica di Rachmaninov. Da subito ho pensato di coinvolgere i giovani pianisti dell’Associazione PianoFriends e infatti a suonare saranno per il 90% miei allievi, per il 10% ex allievi e allievi di miei colleghi che io conosco. La prima cosa che mi è stata richiesta dall’organizzazione di Piano City è stata di pensare a un progetto per pianoforte solo, una maratona, e quindi il 21 maggio dalle 11.00 del mattino partono un serie di mini concerti tutti dedicati a Rachmaninov, che includono l’opera 3, l’opera 10, l’opera 16, i Momenti musicali, l’opera 23, l’opera 33, nella prima versione, l’opera 39, e poi le Variazioni su Tema di Chopin, l’opera 22, le Variazioni sul tema di Corelli e le due Sonate, un repertorio enorme. Ci saranno parecchi interpreti giovani, alcuni giovanissimi, alcuni anche al di sotto dei 13 anni, e io invece farò da conduttore, da narratore.
La proposta è stata di seguire la traccia di un bellissimo lavoro, un lungometraggio realizzato da Tony Palmer, un regista che ha dedicato moltissimi suoi lavori a vari musicisti della musica classica, o ad alcune opere, però soprattutto è diventato famoso sul lavoro fatto sui Beatles e questo su Rachmaninov, che si intitola The Harvest of Sorrow, cioè Il raccolto del dolore, la mietitura. Harvest vuol dire anche mietitura, quindi il raccolto nel senso proprio agricolo del dolore, il dolore che Rachmaninov ha portato con sé da prima della rivoluzione d’Ottobre, poi dopo la rivoluzione d’Ottobre, quando gli è capitato di dover scappare dalla Russia nel dicembre del 1917 attraverso i paesi scandinavi per poi trasferirsi in America. È stato russo tutta la vita, pur non potendo più tornare in Russia, ed ha avuto lo stesso tipo di percorso che ha avuto Chopin, cioè sono stati due profughi, due esuli, due scappati dalla propria terra che per tutta la vita non hanno fatto altro che pensare al proprio paese di origine e che hanno sempre cercato il contatto con altri musicisti e artisti e persone dell’ambiente culturale del loro popolo. Addirittura Rachmaninov si contornava anche di oggetti russi in America. Lui era emigrato, come è successo poi a tanti, nella costa Ovest, era andato a vivere vicino a Los Angeles, in una terra ricca di attori, di artisti vari, però la sua vita era tutta improntata al metodo russo. A un certo punto aveva affittato anche una casa in Europa, in Svizzera, e in qualche modo aveva riprodotto una specie di popolo, insomma era in un luogo lontano dalla sua terra, ma questa terra era sempre presente in lui.
In questo evento milanese farò dunque conoscere la storia di Rachmaninov, lo farò da narratore, quindi interpretando un po’, cercando di riempire gli spazi vuoti che si creano tra un pianista e l’altro. Alcune opere sono divise tra due e tre pianisti, faccio un esempio, l’opera 39 è divisa tra tre pianisti, gli Études-Tableaux, l’opera 23, anche quella, tra due pianisti, e poi c’è l’opera 32, insomma sono diversi pezzi, compresi i pezzi dell’opera 3, quelli che lo resero più più famoso. Quando Rachmaninov veniva in tournée in Italia e in Europa infatti, tutti volevano sentire il Preludio in do diesis minore, l’opera 3, che aveva scritto ai tempi del suo diploma nel 1892, e l’Elegia. Questi due pezzi avevano un grandissimo appeal su tutti gli ascoltatori, perché lui poi invece doveva eseguire, quando era in tournée, Chopin, Schumann, insomma i grandi classici. Non era tanto famoso se non per i suoi due Concerti, il secondo e il terzo, che lui eseguiva con le orchestre con molta frequenza. Poi, naturalmente, a Milano citerò anche dei libri interessanti, tra i quali per esempio quello del compianto Piero Rattalino, che si intitola Rachmaninov il Tataro, dove Rattalino racconta delle cose molto interessanti sul Rachmaninov esecutore, sugli studi che Rachmaninov fece. Questo semplicemente per creare una specie di evento che stimoli i giovani pianisti a studiare la musica di Rachmaninov, non solo i suoi pezzi più celebri ma anche quelli meno eseguiti, quindi più rari, e al tempo stesso raccontare al pubblico la sua vita. La Besana è molto grande, il concerto è all’aperto, però ci sarà sicuramente gente e la maggior parte delle persone che vengono sono persone che hanno voglia semplicemente di avvicinarsi al pianoforte e alla letteratura pianistica, quindi poter raccontare qualcosa di questo autore e far sentire la sofferenza che c’è, che lui raccoglie nelle sue composizioni, è una cosa molto importante.
P.P.: Una domanda di carattere generale, proprio relativa a questi giovani pianisti che andranno ad interpretare queste opere di Rachmaninov. Sappiamo che Rachmaninov aveva la fama di avere mani grandi e la sua scrittura pianistica ha fama di essere terribilmente difficile da eseguire, è vero?
V.B.: Purtroppo è vero. Rachmaninov aveva una mano che prendeva una tredicesima dall’alto, ora una tredicesima vuol dire dal do al la. Io prendo, tirando molto le dita, un’undicesima, do – fa, ma non in accordo, mentre Rachmaninov aveva una mano gigantesca. Tra l’altro era alto un metro e novantotto, quindi aveva una struttura che gli consentiva di suonare senza alcuno sforzo qualunque tipo di scrittura pianistica. Purtroppo, o per fortuna, per i pianisti però avvicinarsi alla sua scrittura non è semplice, proprio perché non tiene molto conto delle mani piccole, quindi chi ha le mani piccole può suonarlo con qualche modifica, cioè prendendo ad esempio qualche nota da una mano e portandola all’altra. Tra i ragazzi miei allievi, alcuni hanno una mano mediamente grande, qualcuno una mano molto grande, e quelli che hanno una mano più piccola devono agire molto sull’elasticità del movimento, quindi sul polso e sull’avambraccio e sulle dita che devono lavorare per consentire al pianista che non ha la stessa dimensione di mano di superare queste difficoltà, perché ci sono degli arpeggi con delle disposizioni di note veramente complicati, ci sono tutta una serie di polifonie complicate.
Rachmaninov al Conservatorio Tchaikovsky di Mosca era stato mandato dalla madre perché non studiava abbastanza il pianoforte, la mamma era cugina di Siloti, che era un grande maestro di composizione, e Siloti lo prese anche in classe con lui per quanto riguardava la composizione. Fu messo a pensione da un grande maestro, Zverev, con un bruttissimo nome e un bruttissimo carattere, un carattere proporzionato al nome direi. Zverev aveva in casa due studenti e poi tutti gli altri da Mosca andavano a fare lezioni con lui. Uno dei suoi allievi era Alexandre Scriabin, quindi puoi immaginare come Rachmaninov avesse il meglio dal punto di vista musicale, e viveva con un compagno con uno stile di vita militaresco, cioè la sveglia al mattino presto, poi tutto un ruolino di marcia particolare e tutte le domeniche doveva suonare per gli amici di Zverev che erano tutti musicisti importanti, tra questi Tchaikovsky. Perché le dico questo? Perché in realtà la sua grande passione era la composizione, ma accadde che il suo maestro lo cacciò di casa perché lui voleva continuare dopo il diploma a comporre e a dirigere l’orchestra, infatti era anche molto bravo nella direzione dell’orchestra, era veramente un fenomeno in tutto. Il problema è che il maestro voleva che lui facesse solo il pianista, quindi lo caccia di casa. Rachmaninov si ritrova senza casa, senza avere un’idea di quello che deve fare e il musicista che lo aveva portato in palmo di mano, che era il suo mentore, Tchaikovsky, che era il più grande compositore di Russia, muore proprio l’anno dopo il suo diploma, in circostanze misteriose, perché come lei sa se ha visto il film di Ken Russell, L’altra faccia dell’amore, Tchaikovsky aveva avuto una vita molto burrascosa. Comunque per questo motivo Rachmaninov finisce in depressione. Ne esce nel 1900, verso la fine dell’Ottocento e infatti scrive il Secondo concerto che dedica al suo psicanalista, da cui era in cura, come tutte le persone fortemente depresse. Io ho tutto il mio modo per spiegare il Secondo di Rachmaninov, lei sa che comincia con degli accordi, degli accordi molto lenti, con basso che si ripete. Anche lì bisogna avere una mano enorme perché altrimenti bisogna arpeggiarli. Questi accordi che sembrano dei colpi di campana, sono molto lenti, lugubri e da questo momento, da questo tema in do minore, che è subito affrontato dall’orchestra con il pianoforte che fa accordi (sembra di vedere un film di Hitchcock), emerge quest’idea di inquietudine, di tormento profondo, poi poco a poco ne esce, risale da un pozzo nero. Insomma è come la descrizione della depressione, e chiude proprio con l’ultimo tempo che è invece festoso, una specie di esaltazione. Quindi questo uomo poi è uscito da questa depressione, ha avuto 15 anni di successi e poi tutto un tratto si è ritrovato ancora peggio, non solo si è ritrovato senza casa, si è ritrovato senza patria. È stato costretto a scappare da San Pietroburgo con la moglie e le figlie, non ha portato con sé quasi niente, ha dovuto lasciare tutto in Russia, e quindi è evidente che poi la sua vita non sia stata la stessa, ha fatto anche fatica a comporre, perché poi per una specie di maledizione di Zverev è stato costretto per vivere a fare concerti. Suonava in America, e, secondo la ricerca di Rattalino, suonava un giorno sì, un giorno no, e doveva viaggiare, cosa molto complicata. Nel film di Tony Palmer si fanno molti riferimenti a tutta la sua produzione più interessante, anche all’oratorio, alla musica sinfonica all’Isola dei morti, alla Seconda sinfonia, ai lieder, le canzoni, ecco nelle sue composizioni c’è sempre dentro il ricordo del passato felice e al tempo stesso il dolore per questo passato che non c’è più. Nell’ultima lettera scritta alle figlie dice una frase bellissima, che tra l’altro aveva anche detto Beethoven molto tempo prima: che la musica è sorella della poesia e figlia della sofferenza. Ecco perché per me questo lavoro di Tony Palmer secondo me è interessante, perché quando si conoscono gli autori così, poi non si riesce più a immaginarli solo allegri, perché nella dolcezza, la serenità, l’allegria c’è sempre una punta di malinconia.
P.P.: Credo che in tutta la musica di Rachmaninov questo dolore sia nettamente percepibile e secondo me questa è una delle ragioni per cui è amato dal pubblico. Ognuno di noi ci ritrova il suo momento buio in qualche modo.
V.B.: È un linguaggio romantico, ma diciamo così, armonicamente moderno, assolutamente moderno. Era un polifonista straordinario, ci sono dei pezzi dove ci sono tre o quattro voci che si intrecciano. come se fosse un vero e proprio lavoro di polifonia, certo non è Bach, però lui conosceva la polifonia in maniera straordinaria, e qui riesce a far dialogare le voci tra di loro in una maniera veramente eccezionale, e anche per questo è molto difficile, perché è pianismo portato all’estreme conseguenze, perché è pensato da una mano enorme. Proprio adesso stavo sistemando alcune battute di una melodia dell’opera 3, per una ragazzina che ha molte qualità, si chiama Carlotta, dove il canto è impastato insieme all’accompagnamento, e quindi chi ha una mano molto grande non fa nessuna fatica, chi ha una mano grande ha una specie di enorme tartarugone in grado di reggere qualunque cosa, quindi starà anche molto in alto, ma chi ha la mano più piccola fa più fatica, però è stimolante. Credo che passerò per gli ultimi dieci giorni incollato al pianoforte a lavorare con le ragazze. La cosa più importante sarà cercare di fare ascoltare la musica di Rachmaninov alle gente suonata da giovani, non dai grandi maestri, dai ragazzi a cui serve molto per la propria crescita, per la propria preparazione. Viviamo in un’epoca di grande superficialità. quindi un po’ di musica che fa pensare anche che la vita non è tutta rose e fiori può solo far bene.