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Ojos de Gato. Dedicato al sassofonista argentino l’ultimo lavoro in studio di Giovanni Guidi

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Nomi, cose, città, una mappa geografica e sentimentale che attraversa continenti e narra capitoli di storie, disegna paesaggi sonori e sentimentali. Tra il Brasile, l’Argentina, Manhattan, l’Europa di Parigi e Roma, il pianista e compositore Giovanni Guidi omaggia il grande sassofonista Gato Barbieri in un lavoro in studio che esce per Cam Jazz e che lo vede al pianoforte in compagnia di James Brandon Lewis al sax tenore, Gianluca Petrella al trombone, Brandon Lopez al contrabbasso, Chad Taylor alla batteria e Francisco Mela alla batteria e percussioni. Una formazione che ci riporta con la memoria a The Third World, album del sassofonista registrato nel 1969 con analoga combinazione strumentale.

Si intitola Ojos de Gato e contiene undici tracce composte da Giovanni Guidi questo disco che molti hanno definito come incontro tra free, contemporary jazz e latin jazz, ma in realtà a predominare è un solo imprinting, quello del suo ideatore, Giovanni Guidi il cui dinamismo intellettuale è frutto di inesauribile curiosità e conoscenza. Di musica jazz infatti Giovanni Guidi ne ha masticata parecchia, grazie anche al padre, Mario Guidi, a cui il pianista qui dedica “Padres”, unendovi la dedica diretta a Gato. E sono proprio le persone, oltre ai luoghi, a fare capolino tra le note di questi pezzi. Le dediche sono come pezzi di cuore sparsi tra le note, a Laura, moglie di Gato, al figlio Christian, a Enrico Rava, compagno di viaggio di Gato e mentore di Guidi, a Ernesto Che Guevara, con cui Gato condivise il luogo di nascita a Rosario in Argentina.

Non ve lo racconteremo con analitiche descrizioni dei pezzi questo lavoro, denso di idee e sogni, ma forse il suo senso più profondo, la sintesi del lavoro di una vita di Guidi sta proprio nel titolo e nella musica della traccia di apertura, Revolución. Ma quale rivoluzione? Non certo quella armata che scende nelle piazze, si nasconde per poi esplodere e sovvertire, bensì una rivoluzione gentile quella di Giovanni Guidi, che anela a un mondo senza barriere tra popoli, una dimensione di fratellanza universale in cui i valori di solidarietà predominano sugli egoismi e l’uguaglianza è conquista consolidata. Non a caso il pezzo è espressione sonora corale, libero fluire di individualità musicali che nella dimensione collettiva trovano una voce unica, dove non ci sono leader e gregari, ma solo unione di intenti, il fine comune di comunicare attraverso la musica valori più grandi.

E questa coralità, questa sorta di spiritualità collettiva permea come elemento guida tutto il disco, sia in quelle espressioni di libera creatività in cui la spinta ritmica, il contrasto sonoro si fanno predominanti, sia in quegli spazi di ampio lirismo a cui Guidi ci ha felicemente abituati, espressione più pura della sua anima generosa.

Cosa c’è di più jazz?

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