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Nina Simone: brevi note in memoria di una grande artista

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Nina Simone: brevi note in memoria di una grande artista.

“Sit there and count your fingers/What can you do/Old girl you’re through/Sit there, count your little fingers/Unhappy little girl blue./Sit there and count the raindrops/Falling on you It’s time you knew/All you can ever count on Are the raindrops/That fall on little girl blue/Won’t you just sit there/Count the little raindrops/Falling on you/’Cause it’s time you knew/All you can ever count on/Are the raindrops/That fall on little girl blue/No use old girl/You might as well surrender/’Cause your hopes are getting slender and slender/Why won’t somebody send a tender blue boy/To cheer up little girl blue…”

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Questa è “Little Girl Blue”, una song che Nina Simone incluse nell’omonimo album del 1957 e il cui testo sembra contenere tutto il senso di una vita vissuta all’insegna di una grande vulnerabilità interiore, di una costante ricerca di amore sentita come necessità primaria, del rimpianto delle cose non avute, della fame di giustizia mai soddisfatta. Eppure Nina sembrava forte, persino aggressiva nel suo impegno per l’affermazione dei diritti civili dei neri d’America, nelle sue lotte con i discografici e i manager per la tutela dei propri diritti di artista. Sembrava forte, con il suo carattere poco duttile, con la sua sfrontatezza, la sua capacità di non piegarsi di fronte alle avversità che la vita le ha messo lungo il cammino, persino con la sua stravagante arroganza.

Il suo vero nome era Eunice Kathleen Waymon ed era nata nel 1933 nella Carolina del Nord, in un paesino in una zona agricola e povera dove all’epoca era praticata la segregazione razziale. Il suo talento emerge subito, prepotente. In famiglia entrambi i genitori e i fratelli e le sorelle suonano qualche strumento o cantano in cori religiosi, così Eunice, a soli 6 anni, è già pianista ufficiale della sua parrocchia. Questo talento viene notato dalla famiglia presso cui lavora come domestica la madre di Eunice e proprio questa famiglia decide di sostenere le spese della sua educazione musicale per un anno.
Fa quindi il suo ingresso nella vita di questa bambina “Miz Mazzy”, ovvero Muriel Massinovitch, una donna raffinatissima e agiata che le schiude un mondo totalmente differente rispetto a quello da cui proviene e soprattutto che la introduce alla lettura della musica, allo studio della tecnica classica, del solfeggio, ma soprattutto le fa scoprire la musica di Johann Sebastian Bach. Nina Simone sosterrà che proprio lo studio di Bach aveva rappresentato lo stimolo a fare della musica la sua vita, aveva alimentato il suo sogno di diventare una concertista classica. Fu sempre la sua insegnante, Miz Mazzy, a creare il Fondo Eunice Waymon per raccogliere soldi utili a pagare gli studi musicali di Eunice in un istituto.
Al termine del liceo Eunice frequenta un corso estivo alla prestigiosa Julliard school, un mese intensivo di lezioni per preparare l’ammissione al conservatorio, il Curtis Institute. Il sogno di diventare la prima concertista classica di colore in America era a portata di mano. Nessuno sa cosa accadde all’esame, non sappiamo se fu rifiutata perché nera o per un pessimo esame, ma di fatto la ragazzina prodigio, il talento, venne scartata, deludendo non solo le aspettative di tutte le persone che avevano intravisto in lei possibilità di successo, ma in primo luogo lei stessa, aprendo una ferita nel suo cuore e nella sua mente tale da essere destinata a non rimarginarsi mai. Nina Simone è stata un’artista variamente etichettata come cantante jazz o soul, ma Eunice Waymon sognava di portare la musica di Bach, Mozart, Liszt sui palcoscenici di tutto il mondo.

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Da questo momento cambierà tutto. Ritroviamo Eunice poco dopo ad Atlantic City, ad esibirsi al Midtown Bar & Grill, un locale abbastanza squallido dove però, con lo pseudonimo di Nina Simone, la ragazza delusa e vulnerabile, si ritaglia subito uno spazio di popolarità notevole. Nina, come la chiamava uno sconosciuto ragazzo latino, Simone come la Signoret che aveva visto nel film “Casco d’oro”. Siamo nel 1954 e Nina si esibisce in un repertorio inconsueto per l’epoca, mette insieme le sue conoscenze della tecnica e del repertorio classico per interpretare brani della tradizione popolare, fa uso dell’improvvisazione, tecnica appartenente al mondo jazzistico. Non canta, non ancora. Nel momento in cui, costretta dalla richiesta del gestore del locale, inizia a usare la sua voce, il suo nome diventa popolare, richiama pubblico anche da lontano. La sua voce è grezza, limitata nell’estensione, ma in grado di diventare calda e intensamente espressiva all’occorrenza, di captare l’attenzione irrimediabilmente. La sua attività si svolge in parte anche a Philadelphia.

Nel 1957 incide il suo primo album: “Little Girl Blue”, dove mostra immediatamente la sua abilità di interprete su alcuni brani e in uno di questi, “Good Bait”, brano di Count Basie, rivela anche la sua originalità nell’ambito dell’arrangiamento pianistico, con quell’armonia classica sostenuta però da una base ritmica leggermente swingante, con la drammatizzazione del tema attraverso la particolarità del suo fraseggio e un finale che riporta agli stilemi della musica colta occidentale.

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Il successo e la popolarità arrivano comunque con un altro brano: “I loves you Porgy”, da Gerswhin, che viene trasmesso alla radio dal noto dj Sid Marx nel suo programma e scala le classifiche nazionali di ambito R&B.

Nina si trasferisce a New York e sposa nel frattempo Don Ross, un bianco, dichiaratosi artista beat, matrimonio che durerà solo un anno e che rappresenterà un’ulteriore delusione per Nina Simone.

Nel 1959 si lega all’etichetta Colpix, per la quale esce “The Amazing”, disco molto simile al precedente nella struttura. Il 1959 è anche l’anno dell’esibizione alla Town Hall, storico teatro in cui era possibile ascoltare cantanti celebri e luogo di elezione per la musica classica. Un successo, particolarmente caro a Nina, per quello che quel luogo rappresentava, un riconoscimento importante, che però non scardinerà del tutto l’etichetta jazz che le era stata affibbiata e che la cantante non accetterà mai.

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All’inizio degli anni Sessanta Nina Simone frequenta il Greenwich Village e si esibisce al Village Vanguard prima e al Village Gate poi. Qui entra in contatto con l’avanguardia musicale americana del tempo, con le idee ed alcuni esponenti del movimento per i diritti civili degli afroamericani, qui raggiunge la meritata notorietà e una certa agiatezza economica. Nello stesso periodo sposa il poliziotto Andrew Stroud, personaggio ambiguo, da cui avrà la figlia Lisa Celeste nel 1962, e che sarà causa di molta della sua sofferenza. Nel 1962 esce un disco frutto di una registrazione in occasione di un suo concerto al Village Gate in cui è contenuta “House of the Rising Sun”,da un tema tradizionale, un altro dei brani a cui Nina ha conferito qualcosa di unico.

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Conoscere la cantante africana Miriam Makeba rinsalda in lei la necessità di conoscere l’Africa, terra dei suoi antenati, e di diventare ambasciatrice dei diritti del popolo afroamericano. Sono gli anni di Martin Luther King, l’uomo in cui si riponevano speranze di emancipazione e di eliminazione definitiva del segregazionismo.

Durante la gravidanza Nina incide il suo tributo a Duke Ellington (“Nina sings Ellington”) e dopo il parto torna in scena alla Carnegie Hall nel 1963. È una nuova artista quella che si presenta su quel palcoscenico, maggiormente consapevole della peculiarità del proprio linguaggio musicale, intensa, appassionata, con una spinta alla drammatizzazione a cui non sono aliene le vicissitudini matrimoniali, la maternità, lo scenario della lotta razziale. Nina Simone lotta e lo fa nell’unico modo in cui sa farlo, con la sua musica. La poetessa e drammaturga Lorraine Hansberry, che aveva conosciuto al Greenwich Village, le aveva insegnato tutto sulla sua terra e sulle sue origini, le aveva schiuso un mondo nuovo di cui inconsapevolmente Nina era parte. “Mississippi Goddam”, una delle canzoni di protesta di Nina Simone, ha un testo scarno e diretto, per questo particolarmente violento e altamente rappresentativo del coinvolgimento dell’artista, dell’autenticità del suo desiderio di rivalsa, che le valse purtroppo le attenzioni della Cia.

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Fu la stessa Nina Simone a dare una definizione della propria musica in quegli anni, definendola”Black Classical Music”. Mentre la cantante prendeva dunque una posizione politica netta, in America viene assassinato il presidente Kennedy e in Sudafrica Nelson Mandela è condannato all’ergastolo. Ma sono anche gli anni in cui a Martin Luther King viene assegnato il Nobel per la pace e in cui il successore di Kennedy, Johnson, firma il “Civil Rights Act”. La segregazione viene bandita e resa illegale in tutti gli Stati Uniti. Nina, non credendo nella soluzione pacifica, si avvicina al radicalismo delle idee di Malcom X.

Nel 1964 firma un contratto con la discografica Philips e inizia la sua carriera di artista internazionale con una serie di dischi rimasti nella storia, fra tutti “In concert”, dai suoi concerti di New York. Alcuni brani sono sconvolgenti nella loro crudezza, ad esempio “Pirate Jenny”, tratto dall’Opera da tre soldi” di Weill-Brecht, in cui il senso della teatralità e le abilità interpretative, la capacità di mantenersi lucida persino in un grido di odio lasciando allo spettatore il compito del giudizio, il potere che la donna assegna con la sua voce ad ogni singola parola, consacrano la cantante all’Olimpo della grande arte.

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Nel 1965 la Philips pubblica “I Put a Spell on You”, testimonianza del secondo concerto di Nina Simone alla Carnegie Hall.

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Lo stesso anno, in “Pastel Blues”, compaiono due masterpiece della produzione di Nina Simone: “Sinnerman” e “Strange Fruit”.

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“Sinnerman” è una canzone priva di speranza, colma piuttosto di disincanto e amarezza del fallimento della ricerca della libertà, una speranza sconfitta che si trasforma in ansiosa fuga sottolineata musicalmente da un impianto ritmico velocissimo e pulsante, dalla ripetizione del tema all’infinito. Il peccatore non ha scampo, il brano si chiude in un improvviso silenzio che prelude al peggio: morte, guerra, sacrificio.

L’assassinio di Malcom X  scava un solco nella mente di Nina Simone e trascina il Paese in una spirale di violenze. “Strange Fruit”, ballata antilinciaggio, era un brano importante, non interpretato volentieri, perché compromettente sul piano politico. Nina lo fa suo. Così.

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Lo stesso anno esce “Wild is the Wind”, contenente un altro celebre brano, “Four Women”, una sorta di autobiografia musicale di Nina Simone, del suo percorso personale di affrancamento dai pregiudizi e dalla violenza psicologica. Quattro donne di colore, simboli della bellezza e della femminilità nera che deve sottrarsi a paragoni e sottomissioni e lottare per la propria autoaffermazione. Diventerà una sorta di inno del movimento femminista afroamericano.

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Nina Simone si lega alla Rca, per cui incide nel 1967 “Sing Blues”. Sono anni faticosi per la cantante, costretta a ritmi durissimi di lavoro. La notizia dell’assassinio di Martin Luther King la sconvolge. In suo onore interpreta “Why? The King of Love is Dead”.

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Nina è stanca dell’America, delle violenze subite dal marito, dell’inefficacia della politica, ha problemi con il fisco, è fisicamente debilitata dai ritmi di lavoro a cui è sottoposta e depressa. Si apre per lei un periodo di profonda instabilità in cui viaggerà molto, dalla Liberia alle Barbados, all’Europa, fino alla Svizzera. Le vicissitudini con il fisco americano la provano molto, la spogliano di tutti i suoi averi. Inizia un declino artistico e personale da cui l’artista cercherà di risollevarsi ripetute volte senza successo, fino ad arrivare a un tentativo di suicidio fortunatamente fallito.

Ma Nina la guerriera non si arrende. Si trasferisce in Francia e là cerca di ricomporre le tessere della sua vita. Ritorna in auge quasi casualmente, attraverso lo spot pubblicitario di Chanel che utilizza la sua “My Baby just Cares  for me”.

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In Francia, in un paesino vicino Marsiglia, Nina Simone ci lascia, il 21 aprile 2003. Una vita difficile, un grande talento, una passione smisurata. A noi piace ricordarla con la sua prorompente vitalità e la sua spudorata sincerità. Così.

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