
Il 2 luglio scorso è scomparso il pianista e compositore Nikolai Kapustin. Se ne è andato nel silenzio generale, lontano dal clamore mediatico e da magniloquenti commemorazioni pubbliche, con quella riservatezza e quella discrezione che hanno contrassegnato tutta la sua vita e che colpiscono particolarmente nella misura in cui contrastano con la evidente vitalità e vivacità della sua musica.
La musica di Kapustin è entrata nel repertorio da concerto di pianisti importanti ed è oggetto di studio per moltissimi studenti. Sono celebri le registrazioni delle opere di Kapustin realizzate da Steven Osborne (2000) e Marc-André Hamelin (2004).
Compositore prolifico, Kapustin ci ha lasciato oltre 160 opere tra composizioni per pianoforte solo, musica da camera e orchestrale.
Era nato il 22 novembre 1937 a Nikitovka, un sobborgo di Horlivka in Ucraina. Avvicinatosi al pianoforte da bambino, mostra subito una spiccata creatività e una certa vocazione alla composizione tanto che all’età di 13 anni compone la sua prima sonata per pianoforte.
Giovanissimo, accompagnato dal suo insegnate, Piotr Vinnichenko, Nikolai Kapustin va a Mosca a sostenere l’esame di ammissione al Moscow Musical College e studia pianoforte nella classe di Aurelian Rubach. Nel 1956 entra al Conservatorio di Mosca dove studia pianoforte con Alexander Goldenweiser e si diploma nel 1961.
In questo periodo di studio Kapustin si avvicina al jazz, nonostante le evidenti difficoltà nell’Unione Sovietica dell’epoca, di reperire ed ascoltare questo tipo di musica, ascoltando alla radio il programma “The Voice of America” e le grandi orchestre di Duke Ellington, Count Basie, Glenn Miller. Dopo il diploma al Conservatorio di Mosca entra a far parte della Oleg Lundstrem Big Band, un’orchestra molto popolare in Unione Sovietica al tempo per cui Kapustin, oltre a suonare il pianoforte compone molti brani. Rimane a lungo Kapustin con della Oleg Lundstrem, la sua vita in quegli anni è fatta di lunghi tour e molto lavoro di composizione.
Negli anni Settanta decide di abbandonare ed entrare nella Blue Screen Orchestra. Una volta sciolta questa formazione il compositore viene ingaggiato dalla State Symphonic Film Orchestra sotto la direzione di Georgy Garanyan, Yuri Serebryakov e Konstantin Krimetz.
Dagli anni Ottanta in poi Kapustin si dedica esclusivamente alla composizione e a qualche performance pianistica in radio o tv in cui venivano eseguite le sue composizioni.
Kapustin era un pianista che non aveva mai studiato composizione come materia specifica, dunque aveva espresso questo suo interesse e questa sua attitudine da autodidatta, forgiando uno stile personale in cui le forme e le strutture della musica colta occidentale incamerano la ricchezza armonica e ritmica peculiari del linguaggio del jazz.
Le sue composizioni recano, nella migliore tradizione della “musica classica”, numeri di opera, sono “sonate”, “studi”, “preludi”, “concerti”, eppure al pianista classico quelle armonie e quei ritmi suonano strani, differenti da tutto ciò che è abituato a suonare, ma suonano strani anche alle orecchie del pianista jazz, che deve destreggiarsi in una scrittura funambolica e densa dove il cardine stesso dell’estetica di questo linguaggio, l’improvvisazione, è assente.
Sono composizioni che richiedono un’elevata abilità tecnica a chi si accinge ad eseguirle. Non a caso Kapustin era un eccellente pianista e spesso, addentrandoci nella sua scrittura, percepiamo un intento di fornire, oltre che un’opera esteticamente valida, un amore per lo studio, una tendenza a sfidare i limiti fisici e mentali dell’esecutore.
Si ascolti la sua Suite in in the Old Style Op. 28, un esempio perfetto di improvvisazioni jazz intervallate all’interno di una struttura barocca modellata sulle partite di Bach, tutto rigorosamente scritto nel dettaglio.
O ancora i suoi ventiquattro Preludi e Fughe, Op.82, che presentano, come da tradizione, una coppia preludio e fuga in ciascuna delle 24 chiavi, ma poco tradizionale è il modo in cui Kapustin elabora lo schema delle tonalità, un ingegnoso lavoro di sintesi tra le esigenze del contrappunto e le armonie proprie del lessico jazzistico.
Un grande lascito quello di Nikolai Kapustin, la cui penna musicale ci mancherà molto, ma l’invito è quello di andare a scoprirne la ricca produzione e, perché no, a cimentarsi con queste composizioni.
Per chi volesse conoscere più da vicino il pensiero di Kapustin è disponibile una biografia in forma di intervista al compositore curata da Yana Tyulkova e pubblicata da Schott Music (Conversations with Nikolai Kapustin). Il volume è in lingua inglese, ma di agevole lettura e comprensione.