
Cosa ha a che fare un tacchino ben farcito con una pianista classica come Maria Cefalà? È Maria Cefalà in persona che chiarisce il titolo di questo volume interamente volto a rivelare ai non addetti ai lavori, ai profani, alcune verità del mondo della musica classica. Ed ecco che scopriamo che il tacchino simpaticamente citato nel titolo è in realtà il musicista stesso che, sovraccaricato di studio, pressioni, aspettative esterne, vive costantemente la pericolosa e imbarazzante situazione di un impellente bilico dal quale cadere, esplodendo come un tacchino proprio per eccesso di farcitura! A metà tra l’ironica aneddotica autobiografica e il libello di denuncia, Farcitura eccessiva di un tacchino e sue conseguenze è come un piccolo affresco che raffigura l’universo della musica classica in tutte le sue idiosincrasie, nella profonda crepa che nel tempo si è andata generando tra quello che le gente pensa e crede di sapere di questo ambiente e quello che questo contesto realmente è. Avete mai pensato alla complessità e al rigore della formazione di un musicista? Alle sue prospettive professionali, alle sue ambizioni artistiche, alla difficoltà e al percorso accidentato da intraprendere per soddisfarle pienamente?
La narrazione di Maria Cefalà apre il sipario su questa scena e con piglio ironico mette al centro dell’occhio di bue la vita del musicista così come filtrata dallo sguardo distratto dello spettatore esterno in netto contrasto con la realtà. E chi meglio di una pianista che ha dovuto affrontare proprio il disagio fisico e psicologico di un eccesso di farcitura poteva raccontare la vicenda umana del musicista con tanta dovizia di particolari? Maria Cefalà racconta la sua di storia, quella che da un infortunio e un’improvvisa interruzione di una promettente carriera l’ha condotta con tenacia e forte determinazione a riprendere un percorso difficile quanto meraviglioso e che ne ha fatto, per sua stessa definizione, una pianista “diversamente classica”. In cosa allora arriviamo a chiederci questa artista è “diversamente” classica? Basta leggere le pagine di questo volume per comprenderlo. Maria Cefalà sconfessa molte delle credenze e della ritualità esteriore legata al mondo della musicista classico, dal dress code, che vuole l’artista al pianoforte in abito elegante e coi tacchi a spillo (una sofferenza), all’apparente disinvoltura e facilità con cui suona (frutto di anni di studio e autentico sudore), dall’eterea apparenza di qualcosa di sovrannaturale nella sua figura alla cruda verità dell’ansia che sempre precede qualunque performance, fino ad arrivare alla sostanziale incomunicabilità della passione per l’arte tutta che porta il mondo esterno a non comprendere le motivazioni di tanto sforzo non finalizzato a un consistente guadagno economico.
Maria Cefalà non incupisce mai sotto il peso di questa realtà, anzi la enuncia con leggerezza e una abbondante dose di autoironia. Particolarmente dura la visione sui cosiddetti “cattivi maestri” e la lettera finale a una professoressa lo conferma, ma questo libro contiene anche un grande messaggio di speranza e di fiducia che va a riporsi piuttosto sui “buoni” maestri che sanno incoraggiare, assecondare i desideri e le necessità individuali dei propri allievi, che sanno individuare le loro fragilità e trasformarle in punti di forza. Queste pagine allora, che scorrono via piacevolmente alla lettura, sono la testimonianza di un percorso andato a buon fine, quello di Maria Cefalà, ma anche uno stimolo ai giovani pianisti a proseguire il loro cammino sul sentiero dell’arte senza accettare “farciture eccessive”, ma con equilibrata fiducia nelle proprie capacità e soprattutto confidando nella forza che l’amore per la musica può conferire a chiunque ne abbia fatto la propria ragione di vita.
Per rileggere l’ampia intervista a Maria Cefalà che abbiamo pubblicato qualche tempo fa e conoscere più da vicino questa artista trovate il nostro articolo qui.