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Luigi Campoccia, On the way to Damascus (Dodicilune, 2010)

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Luigi Campoccia, On the way to Damascus (Dodicilune, 2010), 5.0 out of 5 based on 284 ratings

Una zona franca in cui liberamente circolano suggestioni culturali diverse, un luogo di passaggio in cui sedimentano esperienze di viaggi e viaggiatori di cui sono visibili le tracce, il nuovo e l’antico in dialogo aperto: “On the way to Damascus” ha il sapore di quell’internazionalità e di quell’atemporalità che non legano la musica a uno spazio, a un tempo circoscritto, ma la sciolgono da ogni vincolo, la liberano nelle sue possibilità espressive, ne azzerano sclerotiche classificazioni.

Luigi Campoccia ci regala più di un lavoro discografico, direi piuttosto un’operazione culturale colta e accurata che mette in contatto il jazz e la tradizione musicale turca. E lo fa attraverso un repertorio di composizioni pensate e scritte con l’orecchio teso alla propria esperienza musicale sì, ma allo stesso tempo aperto e disponibile ad accogliere in sé la musica di altri luoghi del mondo, del Mediterraneo tutto, scoprendone elementi comuni, punti di contatto. Lo fa attraverso quei brani che appartengono al canzoniere turco (“Cici Kiz” e “Kacsam Birakip”), ma anche e soprattutto attraverso il fortunato incontro con due musicisti, Aziz Senol Filiz al ney e Önder Focan alla chitarra, un flauto antichissimo e una chitarra jazz originale, ad integrare il suo pianoforte e il quartetto base con Daniele Malvisi al sax soprano e tenore, Rossano Gasperini al contrabbasso e Paolo Corsi alla batteria.

Luigi Campoccia elude il pericolo di coloriture folcloristiche banalizzanti. In “On the way to Damascus” la musica turca non è colore e tenue sfumatura, si fa piuttosto sostanza compositiva in un melting pot in cui caratteri musicali forti interagiscono simbioticamente pur mantenendo le proprie connotazioni identitarie. Le atmosfere sono a tratti delicate e intime (“Breathing Shell”, “Down”) , a tratti prorompenti e ritmicamente dinamiche (“On the way to Damascus”,  “Oasis”, “Over the carpet”, “Belly Dance”) in un’alternanza che denota equilibrio ma anche sensibilità profonda e una visione ad ampio spettro delle possibilità che la musica riserva a chi ha il coraggio di esplorarla senza pregiudizi.

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