
Laurie Verchomin è una ragazza che lavora come cameriera in un locale di Edmonton in Canada, uno strano edificio che da chiesa sconsacrata si è trasformato in ristorante cinese e discoteca. Una sera in quel locale si esibisce il pianista e compositore Bill Evans con il suo trio. Un incontro, un amore, o meglio un grande amore, come recita il titolo di questo volume che Laurie scrive a suggellarne l’eternità. Laurie sarà accanto a Bill nell’ultimo biennio della sua vita fino al 1980, anno quest’ultimo in cui purtroppo il pianista morirà consumato dalle droghe.
Vita e morte. Il sottotitolo contiene in sé la grande antitesi di cui ogni amore si nutre, prelude alla fine, la stessa che apre il libro con la narrazione dell’ultima disperata corsa in taxi per salvare Bill Evans, quel 15 settembre del 1980 che non possiamo dimenticare , una corsa che fallisce miseramente il suo obiettivo. Vita e morte, dualismo che attraversa costante l’esistenza di Bill Evans, perennemente aggrappato alla vita nonostante i grandi dolori subiti e l’autodistruzione nella ricerca della pace.
L’incontro tra il cinquantenne Bill Evans e la ventiduenne Laurie Verchomin viene narrato in forma di memoriale attraverso pagine di diario e stralci di poesia. Laurie negli anni Settanta è, come molti giovani all’epoca, una ragazza inquieta, alla ricerca di emozioni ed esperienze, ama il teatro e la musica, anela a fuoriuscire dalla provincia in cui è nata e cresciuta e dalle rigidità dell’ambiente familiare. Quando incontra Bill il pianista è già alla fine dei suoi giorni, fiaccato dalla tossicodipendenza, ma l’empatia, prima dell’amore, fiorisce spontanea sin da quel primo incontro che Laurie narra dettagliatamente in queste pagine. In lui vede la grandezza superiore dell’arte, capace di trascendere le contingenze del reale, anche quando queste contingenze sono scomode e dolorose. Bill dal canto suo le scrive, sembra alla ricerca di una ragione, di un’ancora di salvezza, le apre il suo cuore condividendo con lei le sue sofferenze, come quella per la perdita dell’amato fratello Henry, morto suicida poco tempo prima. Laurie decide di compiere il grande passo e si trasferisce a New York. Diventerà silente e fedele compagna. Amerà tutto di Bill, anche quel corpo distrutto dalla droga, la sua fragilità, la magia della sua musica, l’intelligenza, tutte cose che la porteranno a un’evoluzione personale importante, a una profonda trasformazione interiore ed intellettuale.
La narrazione di Laurie Verchomin è priva di retorica e diretta, a tratti spiazzante. Mette insieme pagine diaristiche e documenti, come le lettere, i bigliettini, i disegni che Bill Evans le aveva inviato, poesie. Non esiste ampollosità narrativa, piuttosto verità e, se è vero che la verità ci tocca sempre nel profondo per sua stessa natura, non possiamo non entrare anche noi con il cuore in questa vicenda umana e guardare con occhi nuovi l’artista, come essere umano, al di là di ogni naturale idealizzazione che potremmo creare.
Bill Evans muore il 15 settembre 1980, ma è davvero una morte la sua?
“Il corpo non mi fu mai mostrato. Per anni ho continuato a sognare che Bill non fosse morto veramente, ma che avesse architettato una sorta di fuga. Per questo è così nfacile per noi portare avanti la nostra relazione, perché per me non è mai veramente morto. Non per davvero. Nient’affatto. Io non sono mai andata via e lui è eterno” scrive Laurie Verchomin. E lo stesso possiamo dire noi oggi.
A Laurie Bill Evans dedicò una bellissima ballad intitolata appunto “Laurie”.
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