
Remo Vinciguerra, uno dei compositori più conosciuti ed apprezzati in Italia per la sua attività didattica musicale, nella sua vita si è posto un traguardo importante ed ambizioso “appassionare proprio gli allievi più difficili e quelli che non pensano di fare della musica una professione”. Con oltre 40 libri ed oltre 200.000 copie vendute alle spalle, sembra esserci riuscito. Noi lo abbiamo intervistato in esclusiva: un’occasione per conoscerlo meglio ed entrare in stretto contatto con i suoi pensieri.
Intervista
Giulio Cinelli: Remo Vinciguerra, benvenuto su Pianosolo! È un grande piacere averti qua con noi, partiamo subito con una domanda di riscaldamento: Suonare News ti ha definito come il “Beyer del ‘900” per la tua attività di didatta musicale, tu come ti descriveresti? Ti riconosci in questa definizione? Perché?
Remo Vinciguerra: Mi sento semplicemente un didatta che ha dedicato gran parte della sua vita professionale a scrivere un repertorio pianistico diverso da quello tradizionale in uso da “secoli”per arricchire con percorsi musicali moderni e soprattutto vicini al “vissuto” dei piccoli e giovani pianisti la proposta didattica ed educazionale dell’insegnante di pianoforte. In questi 25 anni di collaborazione con le Edizioni Curci di Milano ho pubblicato circa 40 libri che ho scritto per aiutare gli allievi appassionati di musica a tenere il più possibile il coperchio del proprio pianoforte aperto poiché il solo sapere che uno strumento così bello non debba più suonare mi fa sentire triste. Il “Beyer del ‘900?…da piccolo sognavo di poter diventare bravo come Antonio Trombone!
G.C.: In cosa può considerarsi diverso ed innovativo il tuo repertorio pianistico? Quali sono i suoi pregi, i punti di forza che lo rendono, a tuo parere, un’alternativa didattica ed educazionale?

R.V.: Attenzione…la mia proposta didattica non deve in nessun caso essere considerata alternativa bensì INTEGRATIVA. Per andare avanti in qualsiasi percorso educativo prima di tutto si insegnano le strade maestre…quelle costruite dalla tradizione, quindi ad esse si affiancano gradualmente le nuove vie per incuriosire, per intrecciarle alle prime così da insegnare al discente che nulla va discriminato senza un’analisi, un approfondimento, poi per integrarle affinché gli si dia la possibilità di lavorare su un materiale davvero completo, a tutto tondo. I pregi del mio percorso? È che prima del mio intervento, 25 anni fa, almeno in Italia, le proposte didattiche erano pressapoco le stesse, quelle che gli insegnanti avevano ereditato dai loro precedenti insegnanti.Sulla considerazione che… i piccoli pianisti, pur convivendo un certo tipo di musica moderna (canzoni di musica leggera e pop, jingle pubblicitari in stile jazzistico, colonne sonore alla Morricone ecc.), nei loro studi non sentivano neppure un lievissimo profumo di essa tanto che ha portato moltissimi di loro a chiudere, dopo pochi anni di studio ,anche mesi… il coperchio del proprio pianoforte a due,tre e a volte quattro mandate…ho cominciato a scrivere un “blues” in modo tale da leggerlo come uno studietto tradizionale…alla Trombone,alla Beyer,alla Duvernoy e poi una “canzone pop” alla Kunz o se volete alla Bartok e poi una “Sonatina in bianco e nero” alla Clementi e un buon meccanismo (“il Jazzista virtuoso”) alla Hanon! I docenti, quelli che quasi quotidianamente “spulciano”in libreria tutte le novità per aggiornarsi, nel provarle con i propri allievi, hanno intravisto immediatamente in quest’ultimi il piacere di studiarle con entusiasmo e voglia. Poi dall’88… vi è stato un costante passaparola che nel tempo ha convinto anche i docenti più “rigidi”. Mi chiedi l’innovazione del mio lavoro? Ho allargato e arricchito il preesistente materiale tradizionale con un potenziale didattico che indubbiamente agevola di molto l’insegnamento dello strumento e nel contempo l’apprendimento dell’allievo. Le duecentomila copie di tutti i miei 40 titoli editi dalla Curci di Milano, nonostante l’uso “barbaro”di fotocopiarli distruggendone in tal modo l’anima e allo stesso tempo inibendo l’importante affezione al libro che al proprio allievo bisognerebbe insegnare, dimostrano tangibilmente la bontà del mio pensiero. I punti di forza? A ciò che ho detto si aggiunga una scrittura delle composizioni semplice, chiara e soprattutto non “traumatizzante” al momento della prima vista,rispettosa della tradizione e con una musica dentro evidentemente “bella”.

G.C.: Cosa intendi per musica “bella”? Quando componi pensi di più all’estetica musicale o alla funzionalità didattica?
R.V.: Intendo comporre… con gusto! E ciò si può fare in ogni genere musicale, in ogni stile. Quando assisti ad un tramonto o a un sorgere del sole puoi dire che non sia “bello”? Se ti passa davanti un cucciolo di cane o un bimbo che si pappa un gelato più grande di lui…puoi dire che non sia “bello”? E se ti capita di ascoltare l’ “Adagietto” di Malher o “Whole lotta love” dei Led Zeppelin…non pensi che sia lo stesso?!? Ebbene… se sai che quando scrivi lo devi fare con gusto, assolvi già ad una richiesta importante di funzionalità didattica. Se il tuo pezzo ha una melodia leggibile, una armonia elegante e una certa personalità perché è stata composta con onestà e generosità, chi l’ha suona parte sicuramente con il “dito giusto” perché le diverse difficoltà esecutive ed interpretative le affronterà con uno spirito molto più determinato. Se la musica è “bella”, il piacere di suonarla è di gran lunga maggiore, nel contempo, i sacrifici per “conquistarla”si dimenticano nota dopo nota.
G. C: La bellezza e l’estetica musicale fungono quindi da traino all’apprendimento, soprattutto nelle nuove generazioni, sempre meno ricettive agli stimoli e con una cultura musicale sempre più povera. Come è possibile per i giovani distinguere la bellezza dalla banalità? È facile confondersi?
R.V.: La Bellezza dura… e dura nel Tempo!
La banalità stanca alla prima “ripetizione”… o al massimo alla seconda.
Bisogna educare i ragazzi ad alimentare giornalmente la propria sensibilità e,attraverso i valori,le bellezze artistiche, i passi storici che hanno contribuito alla nostra evoluzione sociale, formarli.
Formarli acculturandoli gradualmente affinché si possa creare in ognuno…la forma della “brava persona”.
Ti ricordo che sensibilizzarli a tutto questo porta il ragazzo ad affinare, in modo proporzionale alla sua natura, quel senso che li aiuterà a capire in modo autonomo e consapevole come e quando si troveranno al cospetto della “banalità”.
Garantisco che… o la cestineranno o la ignoreranno!
Oggi si fa molto per non far crescere in modo corretto questa santa piantina, tatto del cuore, chiamata.. Sensibilità!..
G.C.: Avresti mai voglia di modificare e correggere nel tempo le tue composizioni?
R.V.: No, perché le ho modificate e corrette prima di dare l’ok per la pubblicazione. Farlo non ha senso e probabilmente perderebbero il senso originario,sia didattico che estetico.
G.C.: Nei tuoi libri affronti quindi quella parte di storia che la didattica tradizionale non affronta? Perché il Jazz, il Blues ed il pop?
R.V.: Nei miei libri vi è quella parte didattica che non sta in quella tradizionale o come dici tu storica. La mia speranza è che tutti gli argomenti trattati gradualmente portino la mia didattica moderna a diventare tradizionale e di conseguenza storica così da preparare il campo ad un altro “Vinciguerra” che scriverà a sua volta quella parte didattica che non sta nella precedente e nemmeno nella precedente della precedente.
Perché il blues, che vive nel jazz e il jazz, che vive nella musica pop, nel diventare tutti, nel secolo scorso, così popolari, sono entrati per forza di musica nel vissuto quotidiano di ognuno, ma non nella didattica pianistica, rimasta ancorata in buona percentuale a ciò che si studiava cento o più anni fa!
G.C.: Quale percorso didattico, attraverso l’uso dei tuoi libri, suggeriresti a chi si è avvicinato da poco allo strumento?
R.V.: Per un apprendista pianista… partirei con “Il mio primo pianoforte”e “Il mio primo solfeggio”.
Due efficacissimi metodi che, nel procedere di pari passo, regalano una conoscenza graduale della musica in modo divertente e consapevole. Con essi si suona e si solfeggia immediatamente, eludendo quei noiosi esercizi grafici che spesso l’insegnante infligge ai propri allievi quando li esorta ad apprendere la notazione attraverso la compilazione di innumerevoli pentagrammi da riempire con notine e figure di valore!?!
In questo mio “arguto” metodo si suona leggendo e ritmando in chiave di violino e basso, simultaneamente, e si evita quell’imbarazzo che il piccolo incontra quando, dopo aver studiato per tanto tempo la lettura delle note in chiave di violino, deve cambiare di colpo il codice per leggerle in chiave di basso.
Inoltre con gli studietti derivati da celebri pezzi classici scritti dai più grandi maestri della composizione, si forma nell’allievo una conoscenza del repertorio classico che nel futuro tanto arricchirà la sua cultura.
Quindi introdurrei “Tastierissima” che, al precedente suono classico, con gradevolissimi suoni in stile pop, potenzia la consapevolezza teorica e allarga l’estensione della tastiera da un’ottava a due.
Il terzo metodo è “Pianolandia”.
Col suo profumo di jazz e di modernità,affascina da subito il piccolo pianista con dissonanze blues, bicordi e prime sincope.
Dopo questo percorso, con la complicità del maestro, si continua portando avanti parallelamente tradizione e innovazione. In quest’ultimo campo, dei miei si trovano libri ricreativi (Primo Jazz,Tempi Moderni,Preludi Colorati,Ciao Piano), di tecnica e meccanismo (Il Jazzista Virtuoso, Le Scale che sorridono, Le mie prime Improvvisazioni, Le Sonatine in bianco e nero), favole pentagrammate da recitarsuonando (La storia delle note, L’Anatroccolo Stonato, Una fiaba per ogni stagione, Il piccolo pianista di ragtime, Piano blues story, Piano horror) ed infine… trascrizioni di Bach, Clementi e Beethoven che confortano ogni tipo di scelta.
G.C.: Quale dei tuoi brani ti emoziona di più? Quale il più “bello”? Quale brano rappresenta di più Remo Vinciguerra?
R.V.: Il libro che vorrei si apprezzasse di più è: “Preludi nel Parco”. È il più bello, il più ispirato,il più suggestivo.
Molti dei brani in esso contenuti mi rappresentano; da “Quattro passi col lupo” a “Buongiorno orsacchiotto”, da”Prodigi di un maggiociondolo” a “I colori del mattino nel bosco”.
G.C.: Infine un piccolo consiglio rivolto a tutti i pianisti, neofiti, dilettanti e professionisti. Sopratutto a chi guarda con sospetto lo sgabello del pianoforte.
R.V.: A tutti costoro consiglio di studiare il pianoforte per se stessi e non per diventare un neo Pollini o un neo Keith Jarrett; per suonarlo con amore e passione, in semplicità, condividendone la gioia con chi si ama e soprattutto con chi è davvero appassionato di musica!
A chi guarda con sospetto lo sgabello del pianoforte consiglio di spostare lo sguardo verso la TV e perdersi in trasmissioni come GF e similari.
Bellissima intervista, Giulio,
mio figlio di 6 anni sta studiando pianoforte da un anno e ha trovato in uno dei libri del Vinciguerra una fonte di continua crescita e di divertimento.
E cosa c'è di più bello per un papà appassionato di musica del vedere un proprio figlio appassionarsi altrettanto allo studio di uno strumento senza eguali quale il pianoforte? Un po' di sano orgoglio paterno ci vuole, no? 😉
Grazie a Remo Vinciguerra per il suo importante lavoro didattico.
Grazie Fil per la tua testimonianza e per i complimenti 🙂
Spero che tuo figlio ti darà ancora moltissime gioie 🙂