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F. Chopin, Studi Op.10. Introduzione

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F. Chopin, Studi Op.10. Introduzione

a cura del Maestro Orazio Maione

chopin

Oggi il mondo che condividiamo grazie a internet è un mondo nuovo. Ma Chopin le cose “nuove” che ha scritto su come suonare il pianoforte le aveva lasciate abbastanza in circolazione, e nessuno se ne è preso cura (uso un eufemismo rispetto al trattamento che gli aveva riservato Cortot) fino a tempi recenti.

Nel mio caso alcuni anni fa mi sono imbattuto nelle fondamentali pubblicazioni sull’argomento a cura dello studioso alsaziano Eigeldinger, e poi nella nuova edizione chopiniana di Ekier; eppoi ho saputo qualcosa su come la Argerich studia delle cose (studia non è il termine giusto, lei non ne ha bisogno.. le affronta risolvendole!), cose che nemmeno il mio venerato maestro chopiniano Magaloff mi aveva saputo dire; e con tutti questi elementi ho pensato che, meglio tardi che mai, era venuto il momento per avvicinare il progetto di suonare l’integrale degli Studi.

Voi più giovani avete una maggiore libertà mentale che vi viene dalla facilità di informazioni tramite il web, e dal loro confronto: cose per noi più adulti inimmaginabili nel periodo formativo, e sicuramente arriverete mediamente più lontano di chi vi ha preceduto; non ho il culto delle memorie. Ma proprio al passato dobbiamo guardare per cercare di carpire un ipotetico segreto di quello che sicuramente è stato il più grande fenomeno che abbia prodotto l’incontro tra una tastiera e un corpo umano, Chopin, e il suo catalogo delle grazie e dei tormenti rappresentato dai 24 Studi.

La mia vita di studente ambizioso e promettente si svolgeva a Napoli, città che per più ragioni ha avuto molto a che fare con le riflessioni sulla tecnica pianistica dal soggiorno di Thalberg, nel tardo Ottocento, in poi. Io per scalare le vette del pianismo mi affidavo all’istinto e al talento pianistico in dotazione, unendoli a una strenua volontà: la scuola pianistica eminentemente pragmatica dei Cesi, Denza e Finizio che avevano formato i Ciccolini e Fiorentino era dalla mia parte, tramite l’insegnamento di mia madre, Anna Maria Pennella. Un’altra campana però era molto presente e comunque influente: un epigono di Attilio Brugnoli e del rilassamento e gravitazione del peso, Vincenzo Vitale, facendo sembrare tutto pianisticamente possibile solo attraverso meccanismo e ragionamento. Solo trenta anni dopo, come pianista e insegnante, mi sarei potuto dichiarare soddisfatto delle mie ricerche e riconciliato, e solo grazie agli scritti del Metodo mai terminato da Chopin, e dalla loro applicazione agli Studi; e questo grazie alla ricerca verso il passato e le sue prassi esecutive che noi pianisti moderni spesso abbiamo considerato cose da “specialisti per rinuncia più che per scelta”.

Le tre categorie della tecnica chopiniana, la posizione della mano, le sorprendenti diteggiature, il legato e soprattutto il non legato (negli appunti di Kleczynski), la risposta della risalita dei tasti, le differenti peculiarità delle dita, la metodologia artistica e non meccanicistica delle poche ore al giorno di studio, lo studio a occhi chiusi: a me leggere queste cose ha cambiato la vita; e probabilmente ha cambiato anche le prospettive per chi con me viene in contatto come studente. Diamo come premessa che gli Studi qui li trattiamo, e io lo preferisco assai, come studi in senso stretto e non come poemi musicali; premessa banale ma non scontata: (ho quasi litigato con una collega russa su questa opinione). E fa una gran differenza rispetto a considerare le difficoltà come prioritarie e non modificabili “alla Cortot”: più difficile diventa il passaggio tecnico più espressiva, e rallentata, diventa l’interpretazione, secondo la sagace definizione attribuita a Rachmaninoff sul pianista francese) è questione di buona fede e di intendersi su cosa stiamo cercando.

1) L’origine e la destinazione. Chopin scrive gli Studi inizialmente per se stesso, come esercizi; poi li organizza in serie, Paganini con i suoi 24 Capricci è il modello; li pubblica ma non ne suona che alcuni in concerto, e degli allievi più dotati a me risulta che solo Emily-Mary Roche, figlia del pianista Moscheles, li abbia studiati probabilmente tutti con Chopin stesso. Liszt legge, presente l’Autore, l’op. 10 divinamente, ma non risulta che l’abbia suonata tutta in pubblico, la concezione delle integrali non è ancora presente; Schumann apprezza l’op. 25 da critico e studioso prima ancora che da compositore e pianista. Clara Wieck ne suona probabilmente in pubblico uno solo, il quinto. Bulow ne pubblica solo 13, riducendone il numero come aveva fatto per i ben più modesti studi di Cramer. Insomma gli Studi rimangono una sorta di tesoro inavvicinabile ai più nella loro essenza definitiva, riferita a una visione completa, fino alla fine dell’Ottocento. E Backhaus sarà il primo a registrarli tutti nel 1928. Il non prevederne da parte dello stesso Chopin didatta una centralità nel suo insegnamento, a favore di brani meno complicati tecnicamente (i suoi Notturni, preludi e fuga di J.S. Bach o addirittura i Preludi e Esercizi di Clementi), ci fa ritenere che egli stesso li considerasse fuori dalle reali possibilità dei suoi allievi, tra cui pur vi dovettero essere alcuni grandi talenti pianistici. A noi pianisti del XXI secolo urge invece indagare sul progetto che più o meno consciamente Chopin realizzò attraverso i 24 Studi; i tre per il Metodo di Moscheles e Fetìs del 1842 sono infatti lontani nel tempo e nello spirito da ciò che anima le due serie per impegno strettamente virtuosistico, privilegiando le difficoltà ritmiche o di attacchi differenziati. I 24 Studi rimangono, o meglio diventano, oggi che abbiamo imparato che tutti dobbiamo essere in primo luogo i maestri di noi stessi, il Maestro perfetto a cui far riferimento.

2) Un catalogo di gesti oltre che una summa musicale. Chopin, allievo di un organista e di un violinista, mai di un professore di pianoforte! Cominciò a sperimentare nuove formule di scrittura e movimenti sulla tastiera specialmente attraverso gli Studi, alcuni mutuati dal genio violinistico paganiniano, anticipando gli sviluppi dello strumento stesso e creando quello che rimane il “catalogo di gesti pianistici” più ricco e completo, come solo ai fondatori di un nuovo linguaggio compete. E in ogni studio c’è un prodigio di combinazioni di movimenti complessi quasi sempre legati a precise simmetrie ( op. 10 nn. 3,5,7,8,10 e 11; op. 25 nn. 1,3,5,8,10,12) o asimmetrie funzionali piu’ tradizionali ( op.10 nn. 1,2,4,6,9,12; op. 25 nn.2,4,9,11) delle due parti del corpo. Il secondo dito come perno e lo spostamento laterale con la centralita’ della funzione del gomito leggero nei passaggi con note non consecutive; il terzo dito nelle figurazioni con frammenti di scala, ma sempre con estrema flessibilita’ del polso, confermano quanto diceva sarcasticamente Rellstab alla loro pubblicazione: dobbiamo disimparare, ancora oggi!, quanto ci viene spesso suggerito da tradizioni o superficiali osservazioni rispetto al movimento; rendere tutto gesto, specialmente nello studio preparatorio lento: accompagnare spiegando, con significato espressivo. A mio parere gli studi pianistici composti in seguito da altri autori potranno risultare anche capolavori musicali e di scrittura strumentale, ma mai altrettanto coerenti e innovativi nei fondamentali della tecnica pianistica.

3) Il corpo partecipa. Quindi gli Studi: anticipatori, visionari, sia per le possibilità dello strumento che degli umani dell’epoca; e così forse anche la questione su quanto oggi alcune velocità siano possibili sui moderni strumenti andrebbe integrata dalla parallela indagine su quanto il corpo e le potenzialità dei pianisti di oggi, mediamente, sia superiore a quelle offerte dagli scarsi cinquanta chili del fisico di Chopin che li compose. Come dice benissimo Ekier anche il problema delle altissime velocità di alcuni studi (casi estremi op. 10 n.12, op. 25 nn. 5, 11 e 12) va messo in relazione con la capacità di articolazione e con la concezione musicale prima che tecnica del singolo esecutore; e la velocità dovrebbe essere orientata dalla personale capacità di gestire la tensione per evitare i disastri, citando Piotr Anderszewski, che quasi mai dipendono esclusivamente dalla fisicità del suonare. Per Lhevinne “ogni pianista sembra avere dei limiti in materia di velocità.È una questione mentale, muscolare e nervosa che differisce da persona a persona”. Sempre seguendo Ekier: le velocità e i metri ci danno a volte l’unica indicazione reale di carattere: gli studi nn. 7 e 10 op. 10 e nn. 5 e 8 op.25 riportano solo Vivace, il n.4 op.25 solo Agitato; gli studi nn.4 e 8 op.10 hanno un’indicazione alla minima mentre la frazione è in quarti; il n.4 dell’op.25 ha un tempo alla seminima mentre la frazione è in minime. A tal proposito il pianista Louis Lortie, in una recente intervista a proposito della sua nuova registrazione degli Studi a distanza di vent’anni dalla prima, afferma che lo studio op.25 n. 12 pensato in una pulsazione in due ha trovato per lui un nuovo e più convincente significato. Certamente ogni corpo umano ha sue caratteristiche specifiche e il comune denominatore rimane la tastiera, ma l’intuizione chopiniana parla d’altro: il corpo dell’esecutore suona, vibra con lo strumento con tutto l’apparato superiore, ne diventa un prolungamento, come dovette vedere il giovane Chopin in persona al massimo grado di realizzazione dallo stesso Paganini a Varsavia, su uno strumento, il violino, nato però quasi come una protesi del musicista. Perfino nello stupefacente Liszt il pianoforte a me risulta trattato sempre come qualcosa di esterno; e la sua pur geniale musica ne rimane anche tecnicamente, appunto, più esteriore. Non tutti coloro che vogliono sentirsi pianisti oggi sono obbligati a confrontarsi con l’integrale degli Studi in termini esecutivi; ma proprio come ci sembra opportuno assumere le maggiori informazioni disponibili grazie alla Rete, così gli Studi nelle loro 24 sfaccettature a me hanno dato il conforto, leggendario forse, che tutta la scrittura pianistica indispensabile alla nostra arte, nelle sue possibilità di combinazioni tecniche, è lì racchiusa: negli Appunti per un Metodo quello che Chopin definisce “la combinazione di mezzi finiti per realizzare la non finitezza dell’arte”.

Come dice Cocteau “Il genio nell’arte consiste nel sapere fin dove possiamo camminare lontano”; per il mio essere pianista questo camminare consiste anche e soprattutto nel mantenere alta la soglia della tensione psicofisica, che tanto significa nell’esperienza musicale tout court. La ricerca personale sugli Studi non va solo finalizzata a una loro realizzazione, ma considerata come il più bello e proficuo dei processi pianistici che ci possa accompagnare per una vita.

Orazio Maione

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Orazio Maione è nato a Napoli da genitori musicisti, si è diplomato nella sua città con lode e menzione speciale a 17 anni presso il Conservatorio “San Pietro a Maiella”. Ha perfezionato i suoi studi con Nikita Magaloff e Aldo Ciccolini presso il Conservatorio di Gèneve e L’Acadèmie Ravel di St. Jean de Luz (Francia). Giovanissimo ha vinto numerosi concorsi pianistici nazionali e internazionali, ha svolto attività concertistica per alcune tra le maggiori istituzioni musicali italiane, come solista, camerista e con importanti istituzioni sinfoniche. All’estero è stato ospite di istituzioni quali i teatri del Louvre e Chatelet a Parigi e per i concerti di St. John’s Smith Square a Londra.

Ha effettuato registrazioni per enti radiotelevisivi italiani e stranieri e per l’etichetta discografica IMP Classic, England.  Di recente ha inciso l’integrale dei 27 Studi di F. Chopin, che per il Maestro Maione hanno costituito argomento di seminari tenuti in Conservatori italiani e stranieri; suoi video dedicati all’inedito metodo pianistico chopiniano sono presenti in internet nel canale DidatticaInWeb. Ha curato cicli di trasmissioni radiofoniche sul repertorio pianistico ed è autore di articoli e pubblicazioni per gli editori Curci ed EDT-DeSono. Ha svolto attività di docenza in istituti di formazione superiore in tutto il mondo. È titolare della cattedra di Pianoforte presso il Conservatorio “Lorenzo Perosi” di Campobasso e docente dei corsi di perfezionamento dell’associazione musicale Napolinova.

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2 COMMENTI

  1. Ho eseguito diversi studi e conosco ben le difficoltà. Opinioni a parte nessuno credo che possa discutere a ragione l’arte musicale degli Studi di Chopin come ha fatto lei. Non capisco e ció mi meraviglia molto il senso di un post di tal fatta su studi di perfezionamento o consolidazione tecnica per chi ha raggiunto un livello molto alto. In giro ci sono pochi insegnanti validi, che di certo non utilizzano siffatti studi come metodo.
    Gli studi di Chopin non sono tecnicamente formativi almeno in senso stretto per un principiante o allievo di alto livello. Sarebbe come voler imparare a camminare cominciando coll’imparare i tripli salti mortali.
    La preparazione di tocco-muscolare e tecnica si apprende con la tecnica pura che purtroppo viene tramandata oralmente, visto che nessuno ha scritto un metodo-pratico che la spiega nonostante i vari Breithaupt, Cortot, ecc. Troppi c’e`ne sono di metodi che non servono a niente.
    Pochi sono i pianisti completamente autodidatti ammesso che esistano.
    In giro ci sono diversi maestri anche titolati che hanno vinto concorsi e non che suonano con mani deboli e lenti o veloci solo per fare rumore.
    Non c’é alcun bisogno di questo tipo di studi anzi sono controproduttivi se si vuole imparare la tecnica base e comunque non sono un metodo né spiegano un bel niente su come si muove la mano, al pari di molti , diciamo, insegnanti sulla carta, molto bravi a parlare.

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