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Consigli di pratica pianistica – Sulla consapevolezza

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Consigli di pratica pianistica – Sulla consapevolezza
di Costantino Catena

Ospitiamo oggi un articolo del pianista Costantino Catena dedicato ad alcuni consigli di pratica pianistica, in particolar modo all’importanza della consapevolezza nelle fasi dello studio e per la performance.

Oltre ad essere artista affermato sulla scena musicale internazionale e ad aver pubblicato numerose registrazioni dedicate alla musica di Liszt, Schumann, Debussy. Schubert, Brahms, Strauss, Wolf-Ferrari, Costantino Catena è laureato sia in Filosofia presso l’Università degli Studi di Salerno che in Psicologia presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, dove ha approfondito in particolare le tematiche concernenti la gestione degli aspetti psicologici e fisiologici durante l’esecuzione musicale.

Se dovessi sintetizzare in poche parole un consiglio per lo studio del pianoforte, direi che bisogna stare attenti a non lasciar mai andare le mani avanti prima del cervello e ad ascoltarsi attentamente, insomma essere sempre presenti a se stessi.

A differenza di strumenti in cui il suono viene prodotto direttamente dall’azione delle dita sulle corde (come negli archi) il pianoforte infatti ha una complessa meccanica che fa da interfaccia tra l’interprete e la produzione del suono: questo all’inizio permette al pianista di produrre un suono già ben definito, intonato e con poche sfumature. È proprio questa facilità di produzione (indiretta) del suono che rischia di abituare il pianista a non ascoltarsi attentamente, a non avere il giusto feedback tra il suono prodotto e l’azione del corpo, e che in seguito – quando i fattori da gestire diventeranno molti di più e ci sarà bisogno di un’elaborata ricerca timbrica – diventerà difficile da padroneggiare (in virtù di una meccanica che si interpone tra le dita e le corde). Sarà quindi indispensabile un’attenta educazione all’ascolto per dominare questo meccanismo così complesso, che poi sarebbe la “tecnica pianistica” nel suo insieme, perché spesso nell’accezione comune si tende a considerarla solo dal punto di vista della forza e della velocità.

Uno studio metodologicamente efficace è alla base di una performance il più possibile sicura e con il giusto controllo delle note e del suono. Naturalmente la parola controllo non si riferisce al risultato della performance (un’esecuzione “controllata” non è esattamente un complimento!) bensì alla necessaria consapevolezza di tutto ciò che si sta facendo, dei tasti che si stanno premendo, delle note che si stanno eseguendo e soprattutto del come le si stanno suonando. Questa consapevolezza non dovrebbe mai abbandonare l’interprete durante tutta la durata dell’esecuzione e acquisirla è il principale compito dello studio pianistico: nella mia esperienza didattica ho notato che nella maggior parte dei casi si tende a studiare poco in modo consapevole e a privilegiare routine e modalità di studio automatiche, che poi appunto non permettono un effettivo controllo della performance ma lo delegano alle strutture meno consapevoli del cervello, sfruttando quindi una sorta di memoria muscolare sulla quale poi si fa fatica ad intervenire.

Il nostro cervello non è un “pezzo unico”, ma è costituito da un insieme di strutture. Siamo abituati a pensare ad esso come ad una generalizzata materia grigia (la corteccia cerebrale), ma al di sotto di questa ci sono molte componenti dedicate a specifiche funzioni. I pianisti svolgono un compito che richiede un altissimo grado di coordinazione psico-fisica, che oltre alla corteccia cerebrale coinvolge anche strutture sottocorticali. Non è questo il posto per spiegare in dettaglio come funziona il meccanismo dell’ideazione e della trasmissione del movimento dal cervello ai muscoli, ma è importante per un pianista sapere che ci sono parti del cervello che processano la memoria dichiarativa, quella consapevole, che in musica sarebbe la memoria delle note, delle armonie, delle strutture, oltre che uditiva e visiva, e parti invece addette a un tipo di memoria che si chiama procedurale, inconsapevole e automatica, detta anche cinestetica o muscolare. Quando nello studio andiamo a sollecitare solo questo tipo di memoria, con infinite ripetizioni meccaniche, otteniamo un risultato automatico, in cui non interviene la parte consapevole. È evidente che una parte di meccanismo automatico esiste sempre, nel movimento: per esempio anche quando parliamo, non possiamo essere consapevoli di tutti i movimenti della bocca, della lingua e dei muscoli relativi. Ma sappiamo cosa dire e come dirlo, e la parte automatica si riduce al controllo finale dei muscoli, avendo però sempre consapevolezza di quello che stiamo dicendo.

Tra gli stili cognitivi e di apprendimento esistenti, che indicano le nostre personali propensioni nell’uso delle abilità, ciascuno di noi ne utilizza alcuni in modo prevalente rispetto ad altri. Ognuno quindi si costruisce un proprio metodo di studio a seconda degli stili che utilizza e nessuno è migliore o peggiore di un altro, semplicemente diverso.

Iniziare ad apprendere in modo consapevole un brano significa analizzarne la struttura armonica, memorizzare posizioni, gesti, note ed accordi, compresi fraseggi e dinamiche. Significa focalizzarsi sui passaggi più difficili cercando e fissando le diteggiature più adatte, pensando sempre alla gestione del rilassamento muscolare. Una corretta lettura e conseguente memorizzazione è fondamentale, perché oltre all’evidente risparmio di tempo consente di mettere in sicurezza e permanentemente le informazioni in memoria. A questo proposito sarà bene esercitarsi a visualizzare, come in un film, tutti i movimenti delle mani sulla tastiera come se stessero effettivamente suonando. Anche studiare la partitura senza lo strumento è molto utile a consolidare la memoria e a sollecitare l’immaginazione di tutti i movimenti necessari ad eseguire le note.

Bisogna privilegiare l’esecuzione lenta e con tutte le nuances necessarie accontentandosi con pazienza di poche battute alla volta, senza aver fretta di possedere interamente e subito il pezzo, ma anche incrementando progressivamente la velocità facendo attenzione che sia tutto sotto controllo, spingendosi sempre un po’ di più avanti ma non troppo, sfruttando il concetto di zona di sviluppo prossimale, perché il gesto in velocità è diverso da quello lento. Avere contezza di quello che fanno le due mani separatamente, ascoltare attentamente il prodotto dell’azione delle dita sui tasti (il suono, il timbro, il legato/staccato, le dinamiche etc.). Studiare anche a sezioni, in modo da avere sempre punti di ancoraggio: si studia per suonare in pubblico e quindi bisogna prepararsi psicologicamente e costruire la performance in modo da avere la massima sicurezza possibile.

È molto frequente, anche a causa della lunghezza delle sessioni di studio, perdere il contatto con il proprio corpo e non controllare lo stato dei propri muscoli. Bisognerebbe fare continua attenzione a inconsapevoli irrigidimenti (la spalla soprattutto rappresenta un’articolazione molto importante, perché mette in comunicazione il braccio con il resto del corpo e quando non è rilassata rischia di bloccare anche il resto del braccio) e quindi sviluppare la capacità di propriocezione muscolare. La maggior parte degli errori, soprattutto nei punti di più grande difficoltà, avvengono per irrigidimenti muscolari dovuti alla preoccupazione di affrontare quei determinati passaggi.

Un uso moderato e razionale delle varianti ritmiche (applicarle eccessivamente produce troppi automatismi), con la funzione di programmazione del movimento e di scarico della tensione sulle note di appoggio, può rivelarsi utile soprattutto in fase di apprendimento. La nostra corteccia motoria è divisa in due parti, primaria e secondaria. Mentre la primaria invia il comando ai muscoli, la secondaria ha una funzione di ideazione e programmazione del movimento, e quindi applicare correttamente le varianti, fermandosi il tempo giusto sulle note lente e in quel mentre immaginando e programmando l’azione successiva, può servire a visualizzare meglio i movimenti e ad allargare progressivamente lo spam di memoria. Inoltre può migliorare il nostro focus sul rilassamento muscolare.

Anche perdere concentrazione e piacere nello studio può essere comune. Siamo programmati per avere tempi limitati di concentrazione: mediamente una persona adulta riesce a mantenere la concentrazione per circa un’ora, poi ha bisogno di piccole pause prima di potersi dedicare di nuovo con attenzione al compito. Inoltre la memoria a breve termine e la trasformazione da breve a lungo termine sono processi che vengono gestiti dall’ippocampo, un piccolo organo sottocorticale appartenente al sistema limbico, lo stesso che processa le emozioni. È importante quindi mantenere un contatto tra la piacevolezza dello studio e le giuste pause per favorire la concentrazione al fine di renderlo più produttivo.

Infine un buon sonno ristoratore è il giusto completamento del processo di apprendimento quotidiano, perché è dimostrato che la memoria viene consolidata durante il sonno. In particolare ci sono evidenze scientifiche che durante la fase REM del sonno c’è un forte consolidamento della memoria procedurale (la mia tesi di laurea specialistica in Psicologia fisiologica, sperimentale, dal titolo “Effetti di un sonnellino pomeridiano su un compito di memoria musicale” è stata sviluppata proprio su questo tema).

Ovviamente tutto questo è parte della pratica di studio quotidiana, ma nel momento in cui andremo a suonare in pubblico quello che abbiamo imparato e gestito così accuratamente a casa – e che ci avrà aiutato ad essere più consapevoli dei nostri gesti musicali e della nostra performance – dovrà confluire in quella che Csíkszentmihályi chiama esperienza di “flusso” che ci consentirà di essere immersi e coinvolti nell’esecuzione, talmente concentrati da non pensare più a nulla di esterno ad essa. Per favorirla ci vorranno anche in questo caso pratiche di studio che consentano all’interprete di abituarsi, di sensibilizzarsi progressivamente alla performance in pubblico in modo da risultare coinvolgente e nello stesso tempo non perdere il controllo dello strumento. Registrarsi, sia in audio che in video, aiuta molto ma senza dubbio la ripetizione, soprattutto in presenza di amici, colleghi, conoscenti, è la pratica più adatta perché migliora la capacità di concentrazione e la gestione delle emozioni. Ogni volta che si può provare il repertorio bisogna farlo, per aumentare la sicurezza e la solidità.

Costantino Catena

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4 COMMENTI

  1. Articolo molto interessante! Con numerosi spunti di riflessione per rendere piu fruttuoso lo studio.
    grazie

  2. Articolo molto interessante! Con numerosi spunti di riflessione per rendere piu fruttuoso lo studio.
    grazie

  3. Che esecuzione spettacolare il
    sonetto del Petrarca ,
    ma anche tutto il resto.
    Complimenti e grazie di cuore.
    Siete speciali. !!

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