Salve a tutti, mi chiamo Simone Mao, pianista e studente al prestigioso Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Oggi voglio guidarvi, in questo articolo, alla scoperta dei segreti del bel suono al pianoforte, un tema affascinante e centrale nella pratica musicale.
Ognuno di noi, in diverse occasioni, si sarà trovato ad ascoltare un brano di musica interpretato in modo talmente intenso e accattivante da rimanerne incantato. Che si tratti di un esecutore celebre ancora in vita o di un artista del passato, ciò che ci colpisce profondamente è la qualità timbrica del suono, che può essere morbida, calda, avvolgente, talvolta vigorosa, altre volte più tenue, sommessa. Ma come si fa a ottenere un’ampia varietà di colori pianistici? Come controlliamo la produzione di suoni tanto variegati quanto affascinanti?
Uno degli elementi meno conosciuti e cruciali in questo processo deriva direttamente dalla struttura dello strumento pianoforte e, più precisamente, dalla meccanica della tastiera. Il pianoforte a coda, in particolare, presenta un sistema di leve e molle chiamato “doppio scappamento”. Questo sistema, una volta prodotto il suono, consente al martello che ha colpito la corda di tornare indietro, facilitando l’emissione del suono successivo senza dover necessariamente rialzare completamente il tasto.
Il punto chiave da comprendere qui è che il suono non viene prodotto al termine della corsa del tasto, ma un poco prima. Questo “scalino”, come mi piace chiamarlo, rappresenta il punto in cui il suono viene effettivamente prodotto, ed è essenziale per il suo controllo. Se nell’approccio al tasto puntiamo la nostra energia troppo in profondità, finiremo per produrre armonici dissonanti e un suono complessivamente meno gradevole. Se d’altro canto invece restiamo troppo in superficie, rischieremo di produrre un suono inconsistente e privo di armonici.
Un altro segreto per produrre un suono bello e ricco è un uso appropriato del pedale. Quando azionato, il pedale libera le corde per farle vibrare liberamente, arricchendo la nota che stiamo suonando con risonanza simpatica.
Ogni pianoforte, tuttavia, ha limiti fisici intrinseci. Certi pianoforti, soprattutto i grandi modelli di marchi come Steinway, Fazioli o Yamaha, possono sopportare impatti energetici molto forti, rendendo difficile produrre un suono scadente. Allo stesso tempo, ogni strumento ha un limite di sensibilità che determina quanto può essere suonato delicatamente o “sotto voce”.
Ecco perché è fondamentale per un pianista, sia un professionista che uno studente, comprendere le caratteristiche e i limiti del pianoforte su cui sta per suonare. Questa conoscenza permette di adattare e modulare la propria esecuzione su uno specifico strumento per ottenere il miglior suono possibile.
Per concludere, vorrei sottolineare che avere un “bel suono” non significa esclusivamente possedere una solida tecnica del tasto e del pedale. Un bel suono nasce dalla combinazione di più elementi, tra cui un’accurata percezione dello stesso, la conoscenza dello strumento su cui si sta suonando e una certa abilità nel manipolare l’energia impiegata nel tocco.
Nell’esecuzione di un brano, come la mia interpretazione del Terzo Scherzo, opera 39 di F. Chopin, che puoi ascoltare al termine del video che puoi trovare in alto, metto in atto queste tecniche per ottenere un suono ricco e una gamma di colori il più ampia possibile.
Grazie per aver letto questo articolo. Ti invito a continuare a seguire il nostro canale per altre interessanti riflessioni sulla pratica pianistica. Ciao, a presto!