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Andrea Pozza, Scott Hamilton, I Could Write a Book (2014 Fonè Jazz). Intervista

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Andrea Pozza, Scott Hamilton, I Could Write a Book (2014 Fonè Jazz). Intervista, 5.0 out of 5 based on 92 ratings

Andrea Pozza, Scott Hamilton, I Could Write a Book (2014 Fonè Jazz). Intervista

@lorenzo di nozzi 2013

Esce per i tipi della Fonè Jazz “I Could Write a Book”, lavoro in duo registrato dal pianista Andrea Pozza e dal sassofonista Scott Hamilton. Non hanno bisogno di presentazioni questi artisti che vantano un’esperienza musicale su palcoscenici di tutto il mondo e una carriera costellata di collaborazioni con il contesto jazzistico internazionale. L’incontro di queste due personalità artistiche ci regala una registrazione di alcuni standards molto amati, eseguiti con raffinatezza e creatività all’insegna della comune passione per un linguaggio musicale che entrambi conoscono molto bene e che hanno privilegiato come modalità espressiva: il jazz. Abbiamo intervistato Andrea Pozza per parlare proprio di “I Could Write a Book”, per conoscere il processo creativo di questo lavoro e le scelte artistiche che lo hanno determinato. Le fotografie contenute in questo articolo sono di Lorenzo Dinozzi. Donato Aquaro e Francesca Riggi. Per saperne di più visitate il sito personale di Andrea Pozza.

 

Paola Parri:I Could Write a Book” nasce da un incontro, quello con il sassofonista Scott Hamilton. La vostra collaborazione non è nuova però, almeno come esperienza live. Quali sono gli elementi musicali che vi accomunano?

Andrea Pozza: Già da molti anni collaboro con Scott Hamilton, ma non avevamo mai avuto l’occasione di incidere insieme. L’occasione del duo è stata fortunatissima per mettere in evidenza il nostro comune amore per il mainstream jazz. Per me è stato molto importante incidere con lui, perché è senza dubbio uno dei più importanti esponenti del “mainstream” jazz a livello mondiale. Io amo il repertorio degli standards classici da quando ero ragazzo e poterli suonare insieme a lui, che è salito sul palco con tanti tra i miei idoli ( Hank Jones, Tommy Flanagan ecc.) è stata una soddisfazione impagabile.

P.P: I brani che compongono questa registrazione sono standard della tradizione. Come avete selezionato le tracks?

A.P.: Nella maniera più semplice: abbiamo stilato due corpose liste dei brani che ci sarebbe piaciuto incidere e le abbiamo confrontate. I brani che comparivano in entrambe sono diventati il repertorio del cd.

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P.P: Quali sono le caratteristiche che rendono una song uno standard destinato a durare nel tempo?

A.P.: È una domanda difficile e forse è impossibile trovare una ricetta sicura. Tuttavia si può sicuramente dire che la maggior parte dei brani che hanno sfondato tanti anni fa e che tuttora suoniamo ha, oltre a bellissime melodie, anche qualcosa di unico dal punto di vista armonico o formale, pensiamo ad esempio a brani come “All the things you are” di Kern o a tanti brani di Porter o di Gershwin, per non parlare di Ellington e Strayhorn. Penso che si potrebbe scrivere un trattato di armonia o di progressioni jazzistiche solo attraverso gli standards famosi.

P.P: Oggi com’è possibile lavorare su questi brani riuscendo a mantenerne integra la tessitura originale e al contempo comunicare qualcosa di contemporaneo? Qual è il segreto?

A.P.:  Questo è il segreto del jazz ! Perchè le tessiture originali sono così essenziali e aperte all’elaborazione che possono tranquillamente accogliere gli stili e le sonorità contemporanee. Funzionano un po’ come il bios nel computer, una serie di istruzioni di base sulle quali si possono appoggiare diversi sistemi operativi, programmi ecc…

P.P:I Could Write e Book” è stato registrato in un luogo molto particolare. Vuoi parlarcene?

A.P.:  Grazie alla disponibilità di Alfred Kramer abbiamo potuto incidere nella “cave-jazz club” del Castello di Certaldo, un luogo medioevale molto suggestivo e carico di storia. Alfred oltre ad ospitarci e coccolarci con prelibatezze culinarie ha anche suonato magnificamente le spazzole in “Limehouse Blues”.

P.P: Grazie alle caratteristiche di questo luogo avete potuto registrare in presa diretta con dei microfoni molto speciali ottenendo un suono particolare. Di che microfoni si tratta?  Vuoi illustrarci i criteri di questa che risulta una scelta artistica ben definita?

A.P.:  Abbiamo inciso per la Fonè di Giulio Cesare Ricci, il quale è considerato un vero e proprio “guru” dell’ hifi. Infatti effettua le sue incisioni in presa diretta (senza nemmeno passare per il mixer!) con dei microfoni vintage di valore inestimabile, alcuni dei quali provengono da Abbey Road e hanno registrato anche i Beatles!

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Il segreto è quello di piazzare i microfoni nel posto giusto, come sa fare Giulio Cesare. Allora si ottiene una registrazione molto naturale che restituisce fedelmente il suono degli strumenti e della sala, esperienza impagabile se si ascolta il risultato con impianti hifi o cuffie di grande qualità.

P.P: Nato appositamente per questo lavoro, “Boccaccio Blues” è un vostro brano originale che troviamo al centro del cd. Il titolo c’entra qualcosa con Certaldo, luogo in cui appunto è stato registrato il cd?

A.P.:  Il “nostro” Boccaccio Blues è un brano che abbiamo composto sul momento, dedicandolo alla statuina del Boccaccio che vegliava su di noi dallo scaffale dietro il piano. Ricordiamo che Giovanni Boccaccio è nato (secondo alcune ipotesi) a Certaldo.

P.P:  “I Could Write a Book” è uscito, oltre che in super audio cd, anche in Vinile 180gr. Da qualche anno c’è come un ritorno a questo tipo di supporto fonografico. Quali sono le ragioni di questo fascino immutato del vinile secondo te? Ci sono generi musicali a cui si addice in maniera particolare il suono del vinile?

A.P.: Penso sia comprensibile che gli appassionati di musica e sopratutto di hifi apprezzino il suono caldo del vinile e la riproduzione del suono analogica.

Il vinile è un supporto fisico che trasmette fisicamente le vibrazioni come uno strumento musicale, ha una propria vita, si deteriora dopo tanti ascolti, non sono numeri che possono essere riprodotti all’infinito… È più vicino a noi esseri umani, deve essere voluto bene e trattato bene. Nel panorama digitale trovo che stia benissimo, un po’ come la verdura dell’ orto sotto casa in mezzo ai banchi del supermercato, se non ci fosse sarebbe una grande perdita!

P.P: Progetti in cantiere?

A.P.:  Porterò avanti le collaborazioni che ultimamente mi stanno dando tante soddisfazioni, una bella serie di duo: con Scott Hamilton naturalmente, con Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Andrea Bacchetti. Poi c’è un nuovo progetto, l’ “Uk CONNECTION Trio” che prenderà vita da Novembre 2014 con due musicisti inglesi molto importanti: Andy Clayndert al basso e Mark Taylor alla batteria con i quali inciderò un nuovo cd alla fine del tour di Novembre.

 

 

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